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Un viaggio struggente di scoperta e formazione alla ricerca del padre appena perduto e dell'evento che ne ha segnato la vita. L'atto d'amore di un figlio che trova la forza di trasformare quell'assenza da peso che schiaccia l'anima a nutrimento che la fortifica.
«Anche se di mio padre so molto, c'è una cosa, forse la più importante di tutte, di cui non mi ha mai parlato. Qualcosa che, in un tempo distante, ha ferito e mutato per sempre la sua esistenza».
Suo padre è morto da pochi mesi, quando Federico Pace sta lavorando all’opera del fotografo svizzero Werner Bischof. Mentre scorre le foto scattate in Olanda dopo la fine della Seconda guerra mondiale, scova una serie di ritratti molto diversi dagli altri. Tra questi, uno è un pugno nello stomaco: la foto di un bambino che somiglia al padre, soprattutto per via delle cicatrici che ne hanno sfigurato il volto. Parte da qui, da questa folgorazione, il viaggio di Pace. Va dove ha abitato suo padre, visita i posti che ha frequentato, contatta i suoi amici. Ne ripercorre la vita. Dai primi anni vissuti in un paesino dell’Agro Pontino al rapporto speciale con lo zio Manlio; dall’esplosione della mina che a cinque anni lo privò della vista ai mesi di degenza al Policlinico Umberto I di Roma; dagli anni all’Istituto Romagnoli per ciechi al riscatto di un uomo che si è conquistato un futuro laureandosi, innamorandosi, sposandosi. Allo stesso tempo, spinto dalla forza che hanno solo le entità evocate, Pace si mette sulle tracce del bambino della foto, che acquisisce un nome, Jo Corbey, e una vita tutta da scoprire e comprendere. Vittima anche lui, a Roermond, del colpo di coda della guerra: l’esplosione di una mina. Intrecciando i segni lasciati dal genitore insieme a quelli di Jo, quasi un gemello per destino e identità, Pace ricompone i pezzi della storia di suo padre. Gli restituisce così tenerezza e dignità, e trova finalmente una via tutta personale per congedarsi da lui, lasciarlo andare, e riconciliarsi con la sua perdita.
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