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Nella prima biografia italiana del leader del Partito socialdemocratico svedese (Sap), nonché primo ministro, assassinato nel 1986 a Stoccolma, Aldo Garzia, che da anni si occupa di socialismo latinoamericano ed europeo, tiene l'occhio puntato (anche troppo) sulla politica italiana, in specie sulla transizione dal Pci al Pds e oltre; la duratura egemonia comunista spiega, secondo l'autore, lo scarso interesse della cultura politica nazionale verso la socialdemocrazia.
Garzia parte dalla fine: il capitolo I, L'omicidio, ricostruisce, eccedendo nei dettagli, un delitto rimasto, dopo oltre vent'anni, insoluto: impressionante è la ridda di ipotesi susseguitesi su moventi e mandanti (Pkk, servizi segreti, industria bellica, Cia e altro ancora). Il capitolo II, Il socialdemocratico, segue la carriera politica di Palme, sintetizzando al contempo la storia svedese fra Otto e Novecento. Nato nel 1927 da famiglia altoborghese (il suo "tradimento di classe" alimenterà negli avversari politici un astio inconsueto), nel 1953 viene scelto da Tage Erlander, leader del partito e premier dal 1946, come segretario personale. Dopo aver ricoperto incarichi ministeriali, nel 1969 viene designato alla guida del partito e del governo.
I capitoli III e IV sono dedicati rispettivamente alla politica interna (Il premier) e all'impegno per la pace e il rispetto dei popoli (Il leader internazionale). La leadership di Palme coincide con la necessità, per i socialdemocratici, di un ripensamento strategico focalizzato sull'eguaglianza: il potenziamento del Welfare, le questioni di genere, la democrazia industriale ed economica. A Palme tocca gestire la storica sconfitta elettorale del 1976 (dopo quarantaquattro anni di ininterrotto governo per il Sap). Tornato al potere (1982), il partito, seppellito il radicalismo degli anni settanta, dovrà fare i conti con il mutato clima politico e con una situazione economica meno favorevole.
Controverso in patria, Palme conquista la stima dei popoli del Terzo Mondo, grazie a quel "neutralismo attivo" che diventa il vessillo della Svezia: né con gli Stati Uniti né con l'Urss, ma in difesa del diritto internazionale; si attira in più occasioni il risentimento dell'amministrazione statunitense (memorabile è un suo discorso del 1972 contro la guerra del Vietnam). Impegnato, con Willy Brandt e Bruno Kreisky, nella rivitalizzazione dell'Internazionale socialista, di cui diventa vicepresidente nel 1976, appoggia non solo simbolicamente gli oppositori delle dittature di Spagna, Portogallo, Grecia, boicotta i regimi dell'apartheid, promuove una Commissione sul disarmo che porta il suo nome, incontra Ortega e Castro, fa da mediatore per l'Onu (di cui è indicato come possibile futuro segretario generale) nel conflitto Iran-Iraq; consapevole, sin da giovanissimo, che la grande contraddizione dell'epoca non è solo quella fra Est e Ovest, ma anche fra Nord e Sud.
Nell'ultimo capitolo, Il dialogo inconcluso con Enrico Berlinguer, l'autore ripercorre i non facili, ma improntati alla curiosità reciproca, rapporti fra i dirigenti del Pci e Palme, interrogandosi infine sulla collocazione internazionale del nascente Partito democratico.
Monica Quirico
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