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Ogni vita è un destino. Questa è la massima che sovente si ricava dalla lettura di una biografia, tanto più di un'autobiografia. In parte c'è del vero in quest'affermazione, in parte nasce il sospetto che le premesse di una vita siano riviste e interpretate alla luce della meta finale cui si è giunti. La trama del racconto (auto)biografico inevitabilmente ne risente. Ma Dahrendorf intende suggerirci che la sua vita ha avuto l'andamento esattamente inverso. E che è stata "una specie di rally" snodatosi "non da tanti punti di partenza fino a un unico traguardo, bensì da un nucleo centrale a molti traguardi". L'avvio, nella prima adolescenza, è avvenuto sotto il segno oppressivo della svastica e quindi con dentro quell'anelito alla libertà che ha poi permeato l'avventura esistenziale di Dahrendorf. Per questo il libro propone solo "frammenti di vita" e non un intero e lineare percorso. Spassose e istruttive sono le pagine dedicate alla coppia Max Horkheimer - Theodor W. Adorno e al celebre Istituto di studi sociali di Francoforte. Si ha infatti il ritratto di due intellettuali dal linguaggio fumoso, opportunisti nella pratica come nella loro stessa "teoria critica", ambigua al punto giusto da soddisfare la loro esigenza, che era quella, "pur nell'adesione all'economia di mercato e alla scelta di campo occidentale, di dare l'impressione di essere in realtà anticapitalista e antiamericana". Consigliamo invece di saltare le pagine in cui il sociologo sciorina le sue poesie giovanili in lode alla stazione Termini o al ristorante Abruzzi. Volendo essere rispettosi, diciamo che ispirano tenerezza e nulla più. Oltre a queste cadute nel narcisismo, da segnalare uno scivolone in merito all''Italia che fu. A detta di Dahrendorf, Palmiro Togliatti è stato colui "che nell'era staliniana aveva inventato l'eurocomunismo" (sic!).
Danilo Breschi
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