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Oltre la soglia. Una vita nell'Opus Dei. Un viaggio nel fanatismo
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1996
380 p.
9788880891352

Valutazioni e recensioni

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Rinaldo Massa
Recensioni: 1/5

Non vedo come si possa mettere in discussione il fatto che l'Opus Dei sia una realtà santa e santificatrice.

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Pietro
Recensioni: 3/5

E' un libro assolutamente da leggere: scritto come solo una persona piena di dedizione e sincera poteva scriverlo. In sintesi è l'emergere della ragione dell'autrice su una mentalità fondamentalmente ideologica e settaria da lei riscontrata nell'Opus Dei. Si nota come tra una mentalità ragionevole e religiosamente equilibrata e una mentalità settaria non c'è possibilità d'intesa alcuna. La prima nasce da bisogni personali autentici, la seconda è funzionale ad un sistema di controllo e potere con risvolti inquietanti. Quando quest'ultima si maschera di ragionevolezza e religiosità lo fa solo per attrarre persone generose col fine ultimo di sfruttarle. Il libro mostra esattamente la scoperta di questo.

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Bruno
Recensioni: 1/5

Un libro amaro, carico di risentimento e di falsità verso una famiglia spirituale cpme l'Opera che ha la sola missione di dimostrare che si può essere felici con Dio e coi fratelli già in questa vita, senza dover aspettare il cielo. L'unica consolazione è che nel frattempo l'autrice del pamphlet si è pentita, ha rilasciato pubbliche dichiarazioni di resipiscenza e ha testimoniato (se ce ne fosse bisogno) la santità del fondatore dell'Opera. Omnia in bonum, ancora una volta, il bene ha sempre la meglio.

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Recensioni

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Voce della critica

URQUHART, GORDON, Le armate del papa. Focolarini, neocatecumenali, Comunione e liberazione
DEL CARMEN TAPIA, MARIA, Oltre la soglia. Una vita nell'Opus Dei
recensione di Magister, S., L'Indice 1997, n. 3

Opus Dei, focolarini, neocatecumenali. Sono i fenomeni associativi più discussi della Chiesa cattolica d'oggi. Discussi con passione più che con distacco analitico, con apologeti e detrattori gli uni contro gli altri armati. Peccato che i fondatori e dirigenti di questi movimenti, arroccati dietro i loro bastioni, non facciano nulla per svelenire la disputa. Refrattari a ogni accento che suoni critico, respingono puntualmente come inattendibile qualsiasi voce non allineata.
È quello che è capitato a Maria del Carmen Tapia. Il vicario dell'Opus Dei per l'Italia, monsignor Mario Lantini, ha detto perentoriamente di lei, all'uscita del suo libro: "Le ragioni che adduce per spiegare come abbandonò l'Opus sono completamente false". Altrettanto liquidatoria è la recensione di fatto che i vertici dei focolarini hanno prodotto del libro di Gordon Urquhart. Entrambi gli autori, infatti, sono stati parte importante dei due movimenti. La spagnola Maria del Carmen Tapia è stata dirigente dell'Opus Dei, ramo donne, dal 1952 al 1965, facendo anche parte dell'assessorato centrale di Roma. L'inglese Urquhart ha militato tra i focolarini dal 1967 al 1976, arrivando a dirigere in Inghilterra la rivista del movimento e a fondare il ramo giovani. Oggi la prima insegna alla University of California, a Santa Barbara. Il secondo è sceneggiatore e regista cinematografico.
I due volumi hanno il pregio e i limiti delle storie autobiografiche. Sarebbe indebito leggerle come prototipo d'esperienza collettiva. La parabola di Maria del Carmen Tapia nell'Opus Dei è, alla lettera, "una vita", la sua. Un vissuto certamente diverso da quello di un altro grande fuoruscito dall'Opus Dei che nel suo libro più volte s'incrocia: Raimundo Panikkar, il coltissimo sacerdote ispanico-indiano (oggi filosofo e teologo di fama internazionale) che nella fase ascendente del movimento fu il vero antagonista, rapidamente sconfitto, del fondatore José Maria Escrivá de Balaguer.
E lo stesso si può dire di Urquhart, per la parte del suo libro che riguarda i focolarini. Un elemento che accomuna i due autori è l'estrema difficoltà che entrambi hanno sperimentato a penetrare gli "arcana" dei rispettivi movimenti d'appartenenza. Tanto nell'Opus che nel movimento dei focolari fondato dall'italiana Chiara Lubich, c'è un apice esoterico che è attingibile soltanto a pochissimi e fidatissimi comprimari. Anzi, nella sua integralità neppure a questi. Perché le chiavi di tutto sono soltanto nelle mani del fondatore o della fondatrice, la cui ispirazione dall'alto è sempre dirimente. E non può essere contraddetta, proprio perché data come discesa dal cielo.
Non importa che il fondatore o la fondatrice non appaiano sempre impeccabili. Anche caratterialmente, ad esempio, Escrivá era temporalesco. Alternava blandizie e scatti d'ira incontrollata. Prorompeva in battute grevi, in insulti scurrili. Era vendicativo su chi non si piegava di slancio ai suoi voleri. Non a caso la testimonianza di Tapia è stata accuratamente tenuta lontano dal processo di beatificazione del fondatore dell'Opus. Ma ora c'è questo suo libro che consente di gettare uno sguardo sull'"inner circle" dell'Opus Dei. Il racconto è piano, circostanziato. Sembra ripreso da vecchie note di diario, che mantengono un'eco della devozione alla causa vissuta dall'autrice all'epoca dei fatti. Quando lei già sentiva crescere in sé il rifiuto. Eppure, anche sottoposta alle più metodiche angherie, continuava a credere che la causa meritasse quelle penitenze.
Maria del Carmen Tapia non pretende di dire che cos'è l'Opus Dei, ma semplicemente che cos'è stata la sua vita oltre quella soglia, la formidabile dedizione che l'ha sorretta, il calvario del dubbio e infine la travagliatissima fuoruscita dall'Opus, ma non dalla Chiesa cattolica, cui è rimasta fedele. Analogo il racconto di Urquhart relativo ai suoi nove anni tra i focolarini. Per l'una e per l'altro c'è la fatale attrazione che l'immagine pubblica dei rispettivi movimenti religiosi ha saputo esercitare. C'è l'ingresso entusiastico nella comunità. C'è l'ascesa nelle interne gerarchie. C'è qualche lampo di luce che ne illumina la faccia segreta. Fino al disincanto.
Ciò che colpisce è la reazione dei capi nei confronti di chi dubita. L'opzione è elemento essenziale in ogni cammino di fede. Ma su chi opta per l'abbandono di quel determinato modello di vita (che pure non sta scritto nel "Credo" battesimale ma soltanto nella biografia del fondatore) è fatto calare inesorabile lo stigma della peccaminosità. Ai fuorusciti si fa di tutto per rendere difficile la vita: quella interiore e anche quella esterna, prima e dopo il salto della soglia. Per godere di una sorta di indulgenza c'è un solo modo: sparire e tacere. Per questo i fuorusciti in genere tacciono: hanno già il loro bel daffare per ricostruirsi una normale esistenza. Per quelli che parlano o, peggio, scrivono, c'è la condanna pubblica. Talvolta con venature di diffamazione. Sono imperdonabili e basta.
Maria del Carmen Tapia non tenta neppure di tracciare un profilo della Chiesa d'oggi, a partire dalla sua esperienza di ex dirigente dell'Opus. Urquhart invece sì. Alla sua autobiografia d'ex capo focolarino interseca le storie parallele del movimento dei neocatecumenali, fondato dagli spagnoli Kiko Arguello e Carmen Hernandez, e di Comunione e liberazione, fondato dal sacerdote milanese Luigi Giussani. Per trarne un profilo di Chiesa combattente, compatta, mirata alla riconquista cristiana del mondo, sotto l'egida di papa Giovanni Paolo II.
Sarà. Ma questo azzardo d'affresco universale è il limite del suo libro. Anche le pagine su Comunione e liberazione non sono le più originali. Su Cl, a differenza che sull'Opus o sui neocatecumenali, la bibliografia è già cospicua e polifonica. E soprattutto, il movimento di don Giussani ha caratteristiche che lo rendono difficilmente assimilabile agli altri citati: meno esoterico, meno settario, più pubblico e, magari involontariamente, più trasparente.
Eccellente, invece, lo scavo che Urquhart compie del movimento neocatecumenale. In questo, il suo libro dice davvero cose inedite, forse più di quelle che scrive sui focolarini. Del movimento di Chiara Lubich si avevano, fino a oggi, solo resoconti autorizzati, una specie di storia sacra. Ma dei neocatecumenali si sapeva ancor meno, posta la strategia del silenzio adottata dai suoi fondatori: così rigida che persino le autorità vaticane hanno dovuto molto faticare per avere in visione i loro testi interni. Con tenacia encomiabile, Urquhart è riuscito per la prima volta a penetrare in questo mondo e a fornirne un primo ritratto.
E che questo ritratto sia sufficientemente attendibile, l'ha riconosciuto anche un recensore d'eccezione dell'edizione inglese del volume, uscita qualche mese prima dell'italiana, il teologo domenicano Robert Christian, professore alla pontificia università romana "Angelicum", la stessa in cui studiò Karol Wojtyla. Christian, che per un certo tempo ha lavorato come presbitero al fianco di una comunità neocatecumenale da cui poi s'è pacificamente distaccato, ha pubblicato la sua recensione su una rivista a sua volta insospettabile, "Inside the Vatican": un mensile benissimo introdotto nella curia pontificia e di fedeltà adamantina al papa in carica.

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