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Anno edizione: 2002
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L’ispettore cinese Shan Tao Yun è inviato nella regione autonoma del Sinkiang per indagare su una serie di delitti commessi contro gli scolari di una scuola itinerante composta di bambini tibetani, kazaki, uighur. Siamo in una vasta zona di frontiera tra Tibet e Cina presidiata da tre componenti delle truppe d’occupazione cinesi: l’esercito Popolare di Liberazione (in realtà incaricato della repressione della popolazione indigena); la Brigata del Popolo e l’Ufficio di Pubblica Sicurezza. Ne segue una ridda d’inseguimenti e di fughe dei Purba (partigiani tibetani-anti cinesi) per sottrarsi alla cattura e ai campi di concentramento. Il mio giudizio positivo è dovuto alla decisa critica di Pattison contro l’invasione del Tibet e i criminali metodi di repressione della popolazione locale, eventi che purtroppo il mondo occidentale oggi ha dimenticato e all’epoca non ha intralciato. Già nel 1950 le truppe di Mao (40 mila soldati) attaccarono il piccolo esercito tibetano (7 mila) travolgendolo. Poi fu una continua escalation: tra il 1957 e 1958 l’esercito comunista colpì i civili, bombardò villaggi, distrusse monasteri. Nel 1966-68 la repressione si fece massiccia e quasi la totalità dei monasteri (oltre 6000) fu distrutta. Pattison parla di 1 milione di morti e di atroci torture contro i tibetani e i monaci, cui sono tagliati, ad esempio, i pollici perché non possano sgranare rosari e fracassate le ossa dei piedi. Per quanto riguarda la trama, però, ho seri problemi: è contorta, confusa e caotica e obbliga il lettore a salti mortali per capire cosa stia succedendo. Shan Tao Yun e il suo manipolo di partigiani sembrano girare a vuoto e trascinarsi per deserti e montagne per tornare sempre al punto di partenza (il campo di concentramento Gloria). Non sono in grado di opporre resistenza all’invasore cinese perché non hanno armi e possono solo limitarsi a magre azioni di disturbo. Una mappa accurata della regione avrebbe aiutato il lettore ben più dello schizzo iniziale.
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