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Cardini invita a riscoprire la valenza formativa dell’onore, un’integrità morale che può ancora insegnare molto al nostro immaginario culturale, svuotato di qualunque orizzonte etico e minacciato da un relativismo strisciante che ci obbliga a deridere una virtù che ha contribuito a formare la civiltà occidentale
Cardini, celebre storico medievista, in questo breve testo uscito per il Mulino, il nono della collana Parole Controtempo, esplora l’evoluzione storico-antropologica del termine onore, un vocabolo divenuto oramai desueto poiché ammantato da un alone retorico che rimanda a valori arcaici. Un sostantivo evocato di questi tempi con ironia o diffidenza a biasimare quei Don Quixote che hanno eccessivamente a cuore se stessi e la tutela delle proprie virtù.
In una società che ha visto il trionfo del disimpegno e del trasformismo (etico e politico) - in cui fare professione di onestà diventa titolo di demerito e derisione - a Cardini pare necessario analizzare il percorso che ha portato la parola, di per sé neutra, ad essere sinonimo di un apparato morale scomodo e obsoleto, svalutata dalla secolarizzazione, non solo del sacro, ma anche dell’etica politica.
Si parte da Roma e dall’etimologia del termine, Honos-oris, che indicava il puro possesso di una carica politica, un bene materiale affidato al titolare di un merito conquistato al termine del cursus honorum, il prerequisito educativo che permetteva l’esercizio della funzione pubblica. Un semplice attributo descrittivo, nessuna valutazione etica infatti arricchiva la dignitas personale del detentore. Non l’individuo bensì l’istituzione aveva per legge un carisma sacrale scisso dal titolare della carica, il quale, al termine dell’ufficio, tornava a essere valutato per le capacità dimostrate, senza dimenticare la gens a cui apparteneva, il vero discrimine delle virtù esclusive della persona.
Con il Medioevo invece lo statuto semantico del vocabolo cambia radicalmente. Difatti gli honores non sono più semplici diritti pubblici acquisiti per merito, ma conseguenze dei benefici vassallatici ottenuti dall’imperatore, il detentore di una potestà legittimata dall’investitura papale e quindi divina. Si assiste perciò sul piano propriamente semantico, allo scivolamento del significato del termine dall’originario senso giuridico-istituzionale a un’accezione più propriamente etica. Il titolare dell’onore è garante di un ordine oltremondano, incarnato dalla società tripartita in bellatores, oratores e laboratores, un assetto sociale che rispecchia il disegno divino della comunità ideale. In tale contesto l’onore era ritenuto pertinenza privilegiata dei bellatores, vale a dire dell’aristocrazia militare dalla quale si sarebbe sviluppata la nobiltà moderna. L’onore da merito pubblico diventa privilegio inalienabile, che va oltre la valutazione della virtù della singola persona che lo detiene, ma diventa tutela di un ordine intero, il cui ruolo guida è garantito da Dio stesso. L’offesa dell’onore diventa occasione di blasfemia, un danno che offende non soltanto la persona ma l’intera società, un oltraggio riparabile a singolar tenzone se avvenuto tra pari, o con la morte se proveniente da un membro di un ceto inferiore.
Cardini non si sofferma unicamente sull’aspetto storico del termine, si avventura infatti nell’analisi di alcuni celebri episodi letterari in cui la difesa dell’onore non diventa solamente il motore della trama ma soprattutto il simbolo del mutare dei tempi.
A tal fine uno dei testi più evocativi è I Duellanti di Joseph Conrad, un’avventura mozzafiato ambientata tra la Francia napoleonica di inizio Ottocento e la Restaurazione, in cui la secolare istituzione del duello giudiziario la fa da protagonista, un tema che il Romanticismo avrebbe riportato in auge. I protagonisti del romanzo incarnano due diverse visioni del mondo: D’Hubert, di nobili origini, suo malgrado bonapartista ma rimasto legato ai valori dell’Antico Regime e Feraud, perfetta incarnazione dell’uomo nuovo, un ufficiale di umili natali in guerra con i vecchi arnesi della società del privilegio, prontamente trasformatisi in bonapartisti. Nell’età dei Lumi si verificò il graduale passaggio da una concezione dell’onore connessa a valori dinastici, militari, aristocratici a un’altra fondata sui diritti universali spettanti secondo le leggi di natura a qualunque essere umano. L’onore diventa dignità, propria di qualunque essere umano. Feraud rispecchia questo cambiamento. Sentitosi umiliato da D’Hubert per una facezia, per essere stato interrotto durante un rapporto carnale, ma soprattutto per essere stato trattato con sufficienza da un ufficiale di pari grado ma di nobili natali, Feraud comunicherà al D’Hubert di volerlo sfidare a duello per riparare al torto subito. Le vicende belliche renderanno impossibile il corretto svolgimento della sfida e per un quindicennio, fino al termine della campagna napoleonica, i due scaleranno le gerarchie militari fino a diventare colonelli. Divenuti vecchi, finalmente riusciranno a sfidarsi, ma per un banale errore formale Feraud verrà sconfitto. Incarcerato in quanto ostile al ritorno dei Borboni, una volta uscito di prigione vivrà di espedienti fino alla comunicazione di essere destinatario di una pensione elargita da D’Hubert, grato all’arci-nemico poiché la lotta per l’onore lo ha reso l’uomo di successo che è infine divenuto.
Cardini, lungi dal rendersi apologo di un tale sistema di valori, invita a riscoprire, sulla scorta degli esempi storici e letterari illustrati, la valenza formativa di quell’integrità morale che può ancora insegnare molto al nostro immaginario culturale, svuotato di qualunque orizzonte etico e minacciato da un relativismo strisciante che ci obbliga a deridere una virtù che ha contribuito a formare la civiltà occidentale.
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