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recensioni di Beta, S. L'Indice del 2000, n. 07
Perfino gli spiriti più agnostici non possono fare a meno di collegare automaticamente alcune date del nostro calendario con altrettante festività religiose. La stessa compenetrazione tra il ciclico ripetersi del calendario e le antiche tradizioni religiose esisteva anche nel mondo romano. Se poi pensiamo ai primi anni del I secolo d.C., quando Ovidio cominciò la stesura dei suoi Fasti, le analogie diventano ancora più forti: come in questo anno giubilare la Chiesa invita i credenti alla riconquista di un rapporto più diretto con la religione, così durante tutto il regno di Ottaviano Augusto si moltiplicarono i richiami all'antica moralità del popolo romano, a difesa della religione ufficiale che doveva lottare contro le ammalianti seduzioni dei nuovi culti religiosi che penetravano dall'Oriente.
Come Properzio, seguendo le orme di Callimaco, aveva cantato nel quarto libro delle sue Elegie i miti della tradizione romana, allo stesso modo Ovidio, seguendo lo scandire dei giorni, ripercorre le più note leggende di Roma antica. I Fasti altro non sono che un vero e proprio calendario in versi, dove i distici elegiaci del poeta di Sulmona rivestono con eleganza una materia poetica che non fa distinzioni fra astronomia e astrologia, mescolando assieme storia e mitologia.
L'edizione più recente dei Fasti, curata da Fabio Stok, professore di letteratura latina all'Università di Salerno, segue di un anno la traduzione di Luca Canali, pubblicata nella "Bur" con le note di Marco Fucecchi (cfr. "L'Indice", 1999, n. 2). Integrata da un'appendice che contiene gli scarsi frammenti dell'opera ovidiana, questa edizione torinese rispetta i canoni tradizionali della collana; preceduta da una rapida introduzione e da una ricca bibliografia, la traduzione in prosa di Stok rende con fedeltà il testo di Ovidio, privilegiando soprattutto la chiarezza.
Peccato davvero che i Fasti siano incompiuti: dei dodici mesi progettati dal poeta, ci restano infatti soltanto i primi sei, dal primo gennaio al trenta giugno. Ci fu chi, nel Medioevo e nel primo Rinascimento (ma anche nella tarda antichità), cercò di completare l'opera contraffacendo i libri mancanti; nacque anche la leggenda - priva di fondamento - che i libri in questione fossero stati bruciati da san Gerolamo per il loro contenuto pagano.
Forse, se pensiamo alla grazia maliziosa con la quale Ovidio descrive i due tentativi di seduzione di Priapo, rivolti prima alla ninfa Lotide (I 391 sgg.) e poi addirittura alla dea Vesta (VI 319 sgg.), il nostro rimpianto maggiore è quello per la perdita del dodicesimo libro, che avrebbe contenuto la descrizione della festa dei Saturnalia: dal 17 al 23 dicembre si celebrava infatti il Carnevale romano, che era l'apoteosi del mondo alla rovescia, i sette folli giorni nei quali i padroni diventavano servi e viceversa, come ci racconta Marziale nell'undicesimo libro dei suoi Epigrammi.
Tutto sommato, però, vale la pena accontentarsi di quello che Ovidio racconta nei sei libri rimasti, come per esempio le favole che si celano dietro alla costellazione dell'Orsa Maggiore (II 155 sgg.) e a quella di Orione il cacciatore (V 493 sgg.), la leggenda della fondazione di Roma (IV 806 sgg.), le feste dedicate a Bacco (a marzo i Liberalia, con la storia della scoperta del miele; ad aprile i Vinalia priora, collegati alla degustazione del vino nuovo), le due cerimonie in onore dei defunti (a febbraio i Parentalia, a maggio i Lemuria).
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