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Vernant indaga qui settecento anni di storia ellenica, dal dodicesimo al quinto secolo, cioè dal crollo dei regni micenei determinato dall’invasione dei Dori, fino all’apogeo della civiltà ateniese. Nei capitoli iniziali ricostruisce il quadro storico della civiltà micenea, dapprima strettamente associata alle genti del Mediterraneo orientale, con vivaci scambi culturali e commerciali con il mondo asiatico. Con l’invasione dorica, si ruppero i legami con l’Oriente, con la conseguente diminuzione delle relazioni e il ritorno a un’economia di sussistenza: dal 1200 all’800 la Grecia conobbe un periodo di totale depauperamento culturale, economico e istituzionale. Il graduale passaggio all’epoca dei poemi omerici e delle città-stato fu segnato da una progressiva perdita di mistero nel rapporto tra gli uomini e le divinità, da una laicizzazione dell’autorità regale, da un mutamento nelle usanze funerarie, da una stilizzazione dell’arte ceramica. Vernant situa proprio a partire dall’VIII secolo la separazione tra il mondo dei mortali e quello degli dei, sancito poi dalla poesia epica, che diede avvio a un effettivo affrancamento dal mito. Fu soprattutto l’apparizione delle poleis a comportare un reale cambiamento nella vita e nella cultura della Grecia, trasformando la vita sociale e le relazioni tra i cittadini. La parola, la discussione libera, il confronto dialettico diventano fondamentale strumento politico di democrazia; la cultura e il possesso di conoscenze specifiche si rendono fruibili per un numero sempre più vasto di uomini, anche grazie alla scrittura con cui si redigono leggi, si divulgano nuove idee e scoperte tecniche, si sottopongono a critica e interpretazioni diverse anche le funzioni religiose. Vernant ci conduce progressivamente a individuare i momenti nodali che portarono i greci a modificare la loro condotta morale, il loro universo mentale, i rapporti sociali e le basi dell’economia, dando infine origine al pensiero occidentale moderno.
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