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Le origini del pensiero politico moderno. Vol. 2: L'Età della Riforma.
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In 8', cart ed., pp. 574; scolorimenti al dorso,altriment in buono stato, minimi segni del tempo.

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Le origini del pensiero politico moderno. Vol. 2: L'Età della Riforma.
Le origini del pensiero politico moderno. Vol. 2: L'Età della Riforma.
Le origini del pensiero politico moderno. Vol. 2: L'Età della Riforma.

Dettagli

1989
576 p.
9788815024077

Voce della critica


recensione di Passerin d'Entrèves, M., L'Indice 1991, n. 7

Il lavoro di Quentin Skinner rappresenta senza dubbio uno dei più importanti contributi di storia del pensiero politico moderno pubblicati negli ultimi quarant'anni. Di storia, appunto, poiché offre un'accurata ricostruzione del contesto storico, politico e ideologico nel quale operarono e incisero in maniera più o meno diretta i principali autori - e attori - del pensiero politico moderno (dal Rinascimento alla Riforma). Uno dei più importanti, poiché grazie all'approccio "contestualista", che privilegia la ricostruzione storica del contesto rispetto all'analisi testuale o la chiarificazione concettuale raggiunge dei risultati di grande rilievo.
Insieme a J.G.A. Pocock e a John Dunn (e una serie di allievi ormai noti, come James Tully e Richard Tuck), Skinner è stato infatti uno dei principali sostenitori dell'approccio "revisionista" alla storia delle idee e del pensiero politico. In una serie di scritti metodologici pubblicati negli anni sessanta e settanta (ora raccolti nel volume curato da J. Tully, "Meaning and Context", Princeton U.P. e Polity Press, 1988), ha elaborato una serie di precetti metodologici (difendendone i sottesi assunti filosofici), che permettono di definire in che cosa consista l'adeguata comprensione storica di un testo. Contro la tradizione storiografica di indirizzo analitico, dominante in ambito anglosassone fino ai tempi recenti, che considerava l'analisi concettuale e la verifica della coerenza argomentativa gli unici criteri di interpretazione di un'opera, Skinner propone di esaminare i testi politici, e il lessico e i concetti impiegati, come strumenti usati dagli autori nei diversi contesti storici, per incidere sulla realtà politica del proprio tempo, usando le risorse linguistiche e le convenzioni politiche a loro disposizione. Le due regole fondamentali del metodo proposto da Skinner, come rileva Maurizio Viroli nella sua pregevole e utile introduzione all'edizione italiana, sono dunque, in primo luogo, che se vogliamo comprendere il significato storico di un'opera dobbiamo considerare il testo in questione come un insieme di atti linguistici ('speech acts'), e, in secondo luogo, che per intendere ciò che l'autore del passato voleva dire è necessario ricostruire il contesto delle convenzioni ideologiche e politiche al tempo in cui l'opera fu scritta.
Grazie a questa metodologia storica, Skinner è in grado di offrire una autorevole e suggestiva ricostruzione del pensiero politico tardomedievale, rinascimentale e della Riforma. La ricostruzione viene articolata su grandi temi come libertà e autorità, obbedienza e resistenza, assolutismo e costituzionalismo, e si conclude con una discussione sulla nascita della moderna concezione dello stato. L'opera di ciascun autore è analizzata in rapporto a questi temi e situata nel contesto ideologico e politico del tempo, con i suoi linguaggi e convenzioni, il suo pubblico e i suoi principali protagonisti. Le intenzioni di ciascun autore vengono in questo modo esplicitate e riformulate ricostruendo il contesto ideologico e le convenzioni linguistiche dell'epoca. Le opere dei maggiori autori, da Dante a Marsilio, da Machiavelli a Erasmo, da More a Lutero, da Calvino a Bodin, vengono messe in rapporto alla letteratura e agli scritti di numerosi autori minori e situate all'interno di linguaggi e tradizioni quali l''ars dictaminis' e la retorica, il diritto romano, l'umanesimo civico, l'aristotelismo e la scolastica. Ciascun testo, inoltre viene visto non come il prodotto di menti distaccate o assorbite nella pura teoresi concettuale, ma come la risposta, di vario grado e elaborazione concettuale, a precisi problemi politici del tempo: la nascita e la crisi delle repubbliche cittadine, la formazione dei principati, la Riforma e le guerre di religione, l'emergere delle monarchie territoriali.
Il contributo storiografico dei due volumi di Skinner sia per quanto riguarda l'analisi dei singoli autori, sia nella ricostruzione di tradizioni di pensiero e linguaggi politici, è sicuramente di prim'ordine. Numerose le ipotesi interpretative suggerite da Skinner che correggono o modificano sostanzialmente alcune accreditate letture del pensiero politico rinascimentale e della Riforma. Nel primo volume, ad esempio, Skinner sottolinea le radici stoiche e scolastiche del vocabolario politico del Rinascimento, offrendo in tal modo un importante correttivo alle letture che in precedenza avevano privilegiato l'influsso platonico (E. Garin, L'"Umanesimo italiano", Laterza, 1964) o quello neoaristotelico (H. Baron, "The Crisis of the Early Italian Renaissance", Princeton U.P., 1966; J.G. Pocok, "The Machiavellian Moment", Princeton U.P., 1975, trad. it Il Mulino 1980). Contro Baron, in particolare, Skinner mostra come la nascita dell'umanesimo civico e del linguaggio repubblicano non possa essere ricondotta esclusivamente all'attività di difesa intrapresa da Firenze nel primo Quattrocento contro le mire espansionistiche dei Visconti. Con gran dovizia di particolari, Skinner documenta la presenza di temi repubblicani sia nella tradizione retorica e dell''ars dictaminis', sia in quella scolastica (nel "Defensor pacis" di Marsilio da Padova, e nel "Tractatus de regimine civitatis" e "Tractatus de tyrannia" di Bartolo da Sassoferrato). E mostra la parzialità della tesi di chi, come P. O. Kristeller ("Renaissance Thought and Its Sources", Columbia U.P., 1979), ha voluto ricondurre l'umanesimo civico a un discorso strettamente culturale e ristretto a circoli letterari, privandolo in tal modo del suo contenuto sociale e dei suoi scopi spesso dichiaratamente politici.
Nell'esame dei singoli autori, Skinner propone inoltre delle letture assai originali. Volendoci limitare ad un solo esempio, quello di Niccolò Machiavelli, Skinner mostra come il segretario fiorentino, nello scrivere "Il principe", abbia intenzionalmente invertito le convenzioni della letteratura umanistica del tempo, che indicava nel principe lo specchio delle virtù cristiane (giustizia, generosità, clemenza). Nel proporre che il principe dovesse essere, se necessario, ingiusto e non buono, Machiavelli mirava infatti a fornire dei criteri di condotta politica che potessero far fronte alla crisi dell'epoca e prefigurassero il riscatto dell'Italia dalla sua condizione di divisione e sottomissione al dominio straniero. Nell'esaminare i testi di numerosi altri pensatori del periodo rinascimentale, Skinner perviene parimenti a originali esiti interpretativi (si veda, a chiusura del primo volume, la breve ma incisiva analisi dell'"Utopia" di Thomas More e la sua caratterizzazione in chiave di critica umanistica dell'umanesimo).
Nel secondo volume, dedicato al pensiero politico della Riforma, l'analisi viene articolata su tre grandi temi: assolutismo, costituzionalismo e teoria della rivoluzione. Skinner approfondisce qui la tesi, sostenuta in precedenza da J. N. Figgis ("Political Thought from Gerson to Grotius", 1907), del legame profondo tra pensiero scolastico medievale, in specie di autori come Ockham, Gerson, Almain, Mair, Bartolo e Salamonio, e le teorie politiche della Riforma, da quelle luterane del dovere di resistenza all'autorità papale, a quelle ugonotte di stampo costituzionale e rivoluzionario di Beza, Hotman e Mornay a quelle calviniste che rivendicavano il diritto di resistenza del magistrato, quale eletto del popolo e quindi in qualità di 'popularis magistratus', al potere del sovrano empio o ingiusto.
Di particolare valore, nel contesto argomentativo del secondo volume, è la critica al concetto di una specifica "teoria calvinista della rivoluzione". Per Skinner tale teoria, avanzata da autori come Michael Walzer ("The Revolution of the Saints", Harvard U.P., 1965) sulla base di una lettura weberiana del calvinismo quale ideologia intrinsecamente rivoluzionaria (e opposta a una teoria scolastica intrinsecamente conservatrice), non può essere accettata, poiché i rivoluzionari calvinisti basarono i loro argomenti quasi interamente sulle teorie giuridiche dei loro oppositori cattolici. Come scrive lo stesso Skinner: "La tesi secondo cui le teorie che fanno da sfondo all'ascesa della politica radicale moderna sarebbero di carattere chiaramente calvinista conserva una sua plausibilità a patto di ignorare gli elementi radicali presenti nel diritto civile e canonico, come pure l'intera tradizione del pensiero conciliarista radicale derivante da D'Ailly e Gerson all'inizio del XV secolo. Certo, se al pari di Walzer, ci limitiamo a confrontare i calvinisti a un teorico come Su rez, il presunto contrasto fra gli ugonotti radicali ed i cattolici tradizionalisti può esser fatto apparire convincente. Ma se invece paragoniamo gli ugonotti a Bartolo e a Salamonio, fra i giuristi, o a Ockham, Gerson, Almain, e Mair fra i teologi, troviamo che il quadro è completamente invertito. Lungi dal rompere con le restrizioni della scolastica al fine di fondare una 'nuova politica', vediamo gli ugonotti in gran parte adottare e consolidare una posizione già in precedenza abbracciata dai giuristi e dai teologi più radicali" (vol. II, p. 464).
Skinner sottolinea, inoltre, il ruolo del diritto romano nell'elaborazione delle teorie costituzionali e del diritto di resistenza. Facendo riferimento ai lavori di Walter Ullmann (in particolare, al suo "Principles of Government and Politics in the Middle Ages", 1961), egli descrive con grande efficacia l'influenza dell'interpretazione "populista" della 'Lex regia', secondo la quale il principe riceveva l''imperium', ovvero la sua autorità, direttamente dal popolo. Skinner mostra in questo contesto come la teoria bartolista della sovranità popolare venne impiegata da Andrea Alciato e, soprattutto, da Mario Salamonio per contrastare la giustificazione del potere assoluto del principe, considerato al di sopra delle leggi ('princeps legibus solutus'). Il diritto di resistenza trovava poi il suo appoggio e giustificazione teorica nel diritto privato romano che legittimava l'impiego della forza per repellere la forza ('vim vi repellere licet'), diritto che venne esteso nei confronti dell'autorità politica ritenuta illegittima.
Parimenti importante è la ricostruzione offerta da Skinner del pensiero politico scolastico del Cinquecento. Qui viene esaminata non solo la tradizione scolastica di stampo radicale (la 'via moderna' iniziata da Ockham e proseguita da Gerson), ma anche la 'via antiqua' del neotomismo elaborata dai teologi spagnoli, in particolare Suarez e Vitoria. Molti degli sforzi della tarda scolastica furono rivolti alla confutazione delle teorie di autori umanisti come Erasmo e Machiavelli, ma costituirono anche un notevole apporto per le teorie politiche del Seicento, soprattutto nel loro impiego del concetto di "stato di natura" che forn le basi per gli argomenti a sostegno del contratto sociale. Nell'evidenziare il ruolo della tarda scolastica per gli sviluppi del pensiero costituzionale (in particolare, quello svolto dai seguaci di Bartolo da Sassoferrato), Skinner non tralascia ovviamente di sottolineare il ruolo che essa ebbe nel fornire argomenti per la giustificazione dell'assolutismo. Esaminata nel suo complesso, la tarda scolastica rappresentò, comunque, una delle fonti principali del pensiero politico moderno, in quanto stabilì un lessico e forn delle strategie argomentative, che vennero poi impiegate dai teorici del contratto sociale del Seicento.
Questi due volumi rappresentano comunque un termine di confronto e una fonte di studio inestimabile per gli storici e gli studiosi del pensiero politico moderno.

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