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Il Padiglione d'oro (Kinkaku-ji) è un romanzo dello scrittore giapponese Yukio Mishima. La trama del romanzo si snoda sull’arco di sette anni, dal 1944 al luglio 1950. Mizoguchi, giovane balbuziente di Shiraku, villaggio vicino a Maizuru, viene cresciuto dal padre, monaco buddhista, nel culto della bellezza del Padiglione d'oro di Kyōto. Fantasticare sulla magnificenza dell'edificio è l'unica consolazione del ragazzo, deriso dai coetanei per la balbuzie, la debolezza fisica e la bruttezza. Quasi per ripicca, esasperato dal fatto che tutti i turisti ammirano con meraviglia lo stupendo padiglione e a lui, custode, non degnano neppure uno sguardo, un giorno gli appicca fuoco. E’ interessante che nel romanzo sia citato il lavoro di Beccaria, Dei Delitti e delle Pene, anche se qui le pene non arrivano poiché il ragazzo si dilegua sulle montagne. Forse per noi europei è distante dalla nostra cultura, ma la ritengo comunque una lettura interessante.
M. Yourcenar lo definì "capolavoro fiammeggiante". Si tratta veramente di un romanzo bellissimo, adeguatamente complesso, profumato d'Oriente. Non vi è un momento di cedimento. L'autore qui dimostra una grande capacità di scandagliare l'animo umano, unita ad eccellente raffinatezza di stile. La natura è rappresentata con suggestiva lievità nel procedere delle stagioni. Misterioso e lucente,il Padiglione d'Oro si erge come simbolo, ossessione, simulacro di Bellezza.
Bellissimo romanzo, molto raffinato nel linguaggio e nelle ambientazioni, anche nella traduzione italiana. Molto efficace appare qui la straordinaria capacità di Mishima di descrivere e soprattutto comunicare la complessità della formazione dell'essere umano inteso come intelligenza che porta in sé l'impronta della storia (la propria, ma anche quella condivisa con altri, e addirittura quella nazionale). Una formazione che sembra abbandonare il proprio sviluppo ai flussi "superiori" degli eventi che ci accadono intorno, ma che non perde mai una propria ragione pulsionale profonda. In questo romanzo, Mishima riesce ad esprimere con grande sapienza e fluidità l'intensità delle sensazioni e delle esperienze a partire dai loro aspetti più umani, quelli maggiormente evocativi della dimensione pulsionale. Lo splendore e l'immensità del Padiglione d'Oro (il Kinkaku-ji, realmente esistente, e storicamente reale è anche la vicenda alla quale si ispira il romanzo), che sono tali solo e finché ci sarà qualcuno in grado di sentirli e riprodurli dentro di sé, ne fanno un'espressione del sacro e dei suoi aspetti più largamente condivisi da parte dell'umanità tutta. Di rara efficacia e sensibilità è la capacità di Mishima di dare rappresentanza simbolica proprio a quelle sensazioni e percezioni che permettono di riprodurre all'infinito un'opera d'arte nella sua essenza di valore universale.
Recensioni
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Non c'è recensore, in Giappone e fuori, che, cercando parentele o fonti d'ispirazione per questo capolavoro della letteratura giapponese moderna, non abbia fatto il nome di Dostoevskij. Incominciarono i giapponesi: per quanto la cosa possa apparire sorprendente, la voga di Dostoevskij aveva raggiunto nell'immediato dopoguerra un'ampiezza senza precedenti e nel triennio 1947-50 Delitto e castigo era stato uno dei più clamorosi best-seller della storia dell'editoria nipponica. èappunto nel 1950 che avvenne il fatto che ispirò a Mishima questo Padiglione d'oro, che è del 1958: un giovane accolito buddista, deforme e balbuziente, dà fuoco a uno dei maggiori monumenti dell'arte giapponese, il padiglione di un celebre santuario di Kyoto, il Kinkakuji, il quattrocentesco tempio zen. La storia di questo clamoroso gesto è raccontata da Mishima con aderenza alla cronaca, ma in modo da assegnare un senso simbolico ossia problematico all'azione del piromane. La chiave dell'ossessione di Mizoguchi, Mishima la ricerca in quell'attesa quasi magica della grande distruzione che rappresenta il tema profondo di tutta la prima parte del libro fino al giorno della sconfitta bellica del Giappone. La calata agli inferi si svolge sul tema di straordinarie, attonite rievocazioni di memorie dell'infanzia. Il tema della bellezza suprema del padiglione affonda le sue radici in un'ossessione infantile esorcizzata dallo storpio Mizoguchi con un atto che trova giustificazione anche nella dottrina buddista della morte al mondo e della cancellazione del bello in quanto pura apparenza.
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