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Nel testo della Convenzione europea del paesaggio (Cep), firmata a Firenze il 20 ottobre 2000, si definisce il paesaggio come "una determinata parte di territorio, così come è percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall'azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni" e come "una componente essenziale del contesto di vita delle popolazioni, espressione della diversità del loro comune patrimonio culturale e naturale e fondamento della loro identità". Questo riconoscimento, che evidenzia la compresenza di una dimensione "oggettiva" e di una "soggettiva", raccoglie in sintesi le riflessioni sul concetto di paesaggio formulate in secoli di storia occidentale.
Carlo Tosco ripercorre nel suo libro le principali tappe di questo complesso e articolato percorso. Dall'antichità greco-romana alla Toscana del Trecento, dove si assiste alla nascita della pittura di paesaggio e a una nuova sensibilità letteraria nella descrizione dello spazio naturale e costruito, fino all'età moderna, con la nascita della cartografia come strumento di conoscenza e di dominio del territorio, il filo conduttore è il paesaggio visibile, letto attraverso l'occhio del pittore. In età romantica il concetto si arricchisce di significati, in quanto il paesaggio diventa lo specchio della storia e dello spirito delle nazioni. Con il naturalista e geografo Alexander von Humboldt, fondatore della moderna geografia, si avvia l'approccio scientifico al paesaggio, ricorrendo a studi sul clima, alla geologia, alla botanica, alla zoologia, all'etnografia. Dopo i grandi protagonisti del pensiero geografico ottocentesco, da Carl Ritter a Friedrich Ratzel, da Hippolite Taine a Paul Vidal de la Blache, nel nuovo secolo la rivoluzione delle "Annales" di Marc Bloch e Lucien Febvre porta contributi metodologici innovativi e profondamente fecondi, con un'analisi della storia per problemi, il metodo comparativo, l'approccio interdisciplinare e il concetto allargato di fonte: i sistemi agrari del passato vengono studiati ponendo a confronto le forme dei campi, le tecniche di coltivazione, gli insediamenti. Nel secondo dopoguerra, nuovi sviluppi nelle ricerche sul campo sono messi a punto dall'archeologia anglosassone. In Italia, Lucio Gambi, cui si deve il rinnovamento epistemologico della geografia umana nel nostro paese, pone al centro della ricerca le "strutture invisibili" da cui derivano i paesaggi: le pratiche, i sistemi colturali, i saperi, le società, che con la loro mentalità, i loro costumi giuridici e le loro organizzazioni economiche costruiscono nel tempo il paesaggio. Dalla forma, dunque, alla struttura.
L'orientamento attuale sembra indicare una convergenza fra le diverse discipline che si occupano di paesaggio, con un ritorno alla dimensione estetica, già propugnata da Joachim Ritter, e una rivalutazione del "paesaggio visibile". Sia come sia, riconoscere nel paesaggio un "bene culturale" comporta per tutti, geografi, urbanisti, architetti, storici, economisti ecc. di confrontarsi con i problemi della tutela e della pianificazione urbana e rurale, con la cosiddetta "valorizzazione", con le popolazioni che vivono nel territorio e per le quali gli oggetti del paesaggio o il paesaggio stesso hanno "valore identitario", nella consapevolezza di essere di fronte (e dentro) a un "manufatto" prodotto dall'umanità nella storia. Cristina Maritano
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