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A Eisenstadt si deve una teoria della "regolazione politico-istituzionale" secondo cui l'ordine sociale è un "processo" e gli "equilibri" sono sempre transitori. Gli stessi valori fondativi, questa è la caratteristica dell'oggi, secondo Eisenstadt, sono in continuo movimento. Già nel suo celebre lavoro del '90, Civiltà comparate (Liguori), lo studioso impostò in tale prospettiva la spiegazione del processo di modernizzazione. Il potere politico moderno, da lui spiegato innestando sulla sociologia weberiana e sulla teoria delle élites elementi della sociologia delle religioni e della conoscenza, si presenta essenzialmente come "processuale". Nel volume del '99, ora tradotto dal Mulino, le stesse tesi vengono rielaborate e riproposte. Il nodo centrale del discorso è rappresentato da alcune diadi certamente un po' schematiche. Quella tra concezioni "totalizzanti" e "pluralistiche" del programma culturale della modernità. Tra "controllo" e "autonomia". "Disciplina" e "libertà". Analogamente, nel programma politico, viene isolata la generica tensione fra tendenze "giacobine" e "pluralistiche". Le prime prodotte dalla fede nella possibilità di trasformare la società attraverso un'azione politica totalizzante. Le seconde, invece, pur aperte all'approccio costruttivista, dirette all'accettazione della società "nella sua forma concreta e mutevole". La conclusione del ragionamento di Eisenstadt, non proprio sorprendente, ma di indubbia rilevanza, concerne gli effetti dell'incorporazione delle domande e dei temi della protesta. Un paradosso delle moderne democrazie è che "l'apertura, la varietà e la mutabilità degli obiettivi, che alimentano le cause di instabilità potenziale, possono, sotto determinate condizioni, generare nuove opportunità di trasformazione e garantire la continuità dei regimi stessi".
Giovanni Borgognone
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