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recensioni di D'Agostini, F. L'Indice del 2000, n. 02
Sempre più chiaramente va delineandosi l'esistenza di una linea unica di elaborazione teorica che in molti modi diversi e da diversissime prospettive si ritrova a dibattere un unico tema: quello delle antinomie razionali. Si tratta per lo più di eredi della tradizione dialettica, e in alcuni casi di orfani della dialettica, consumata e bistrattata nelle controverse vicende del marxismo, urbanizzata in termini di retorica, dialogica, pragmatica comunicativa, trasferita senz'altro nel regno di un triste antiquariato filosofico dalle filosofie di ogni orientamento e nazionalità.
Tra i teorici dell'antinomia razionale, a parte Slavoj Zizeck, ultima solitaria star della filosofia continentale, vanno inclusi tutti coloro che praticano o ipotizzano una sorta di koiné paradossale, o una riconoscibilità filosofica comune all'insegna dell'ubiquità del paradosso. Per meglio dire: una razionalità del paradosso. Si tratta, in altri termini, dei molti dialettici senza sistema che riconoscono come antecedenti non tanto o soltanto Hegel e la tradizione dell'idealismo tedesco, ma anche certi ambigui avversari di Hegel come Schelling e Kierkegaard, Nietzsche e l'esistenzialismo, Heidegger, Deleuze e Foucault, o certi continuatori logico-matematici dello stile hegeliano, come Gödel e i logici paraconsistenti.
Il libro di Ciancio si inserisce in questo quadro generale portando un contributo molto significativo, per diverse ragioni. Anzitutto, il libro contiene una breve ma dettagliata storia del paradosso in ambito filosofico e teologico, da Zenone a Pareyson, inclusi alcuni cenni sulle teorie semantiche di Russell e Tarski, e dei logici paraconsistenti. In secondo luogo, contiene una profonda chiarificazione delle ragioni logiche dell'ontologia ermeneutica (di Pareyson, ma anche di altri autori), e dei motivi che fanno di quella linea di pensiero una prosecuzione di tutte le grandi teorie dell'antinomia razionale. L'autore certo non aderisce a ciò che Pareyson chiamava il "culto razionalistico dell'esplicito", ma la sua volontà di rigore teoretico, evidente in ogni pagina, ottiene in ultimo gli stessi effetti di una (buona) volontà di esplicitezza.
In terzo luogo, Ciancio non si limita a ripercorrere e ricostruire le ragioni dell'ontologia della libertà pareysoniana a partire dal tema centrale del paradosso, ma porta avanti il discorso, ossia sviluppa le conseguenze dell'impostazione di Pareyson ai fini di una prosecuzione innovativa della pratica filosofica. Proprio su questo punto è da individuare il maggior merito del libro, che si pone come una proposta teorica chiara e rigorosa all'interno di una tradizione che è apparsa per molti versi stanca e incerta. Quanto alle obiezioni in dettaglio che tale proposta può suscitare (e forse ne avrei una: la non sostanziale utilità, ai fini dello stesso discorso di Ciancio, della critica dell'"oggettivismo" scientifico), credo che il discorso debba restare aperto.
recensioni di Givone, S. L'Indice del 2000, n. 02
Fino a che punto l'ermeneutica è disposta a definire "oggettiva" la verità? Piuttosto che di verità oggettiva, l'ermeneutica secondo Claudio Ciancio parla di verità paradossale - e non solo paradossale, ma dialettica.Ciancio sostiene che "pensiero interpretativo" e "pensiero oggettivante" danno luogo a un'alternativa non mediabile.Ricostruendo la genesi dell'ermeneutica, Gadamer aveva mostrato come il pensiero interpretativo si oppone alla forma per eccellenza del pensiero oggettivante, che è il pensiero scientifico.E con ciò non faceva che sviluppare una tesi heideggeriana, quella per cui il sapere volto al dominio degli enti rimuove la domanda sul loro senso e sul senso dell'essere. Precisamente la domanda che l'ermeneutica pone (e la scienza ignora).Vero è, osserva Ciancio, che ci son stati tentativi di riconciliare ermeneutica e pensiero scientifico. Apel ad esempio ha affermato che "anche le proposizioni del linguaggio scientifico non designano i fatti in maniera pura e semplice, bensì dei fatti nell'ambito di comportamento degli scienziati che interpretano le proposizioni attraverso l'uso.Dal canto suo Habermas non solo ha negato l'opposizione di ermeneutica e sapere scientifico, ma ha preteso che l'ermeneutica, di fronte a contenuti che esprimono rapporti fattuali irriducibili all'interpretazione, si trasformi in critica dell'ideologia.Ma ciò evidentemente è possibile a patto che venga rimossa non solo la domanda sul senso dell'essere, ma anche quella sul carattere subordinato del pensiero oggettivante.
Invece secondo Ciancio il pensiero interpretativo è pensiero rivelativo, per l'appunto rivelativo della verità dell'essere, che non si lascia oggettivare, dominare, e dunque non si dà se non all'interno di un disvelamento che ne custodisce il senso nascosto e inesauribile, mentre la critica dell'ideologia o più in generale il pensiero oggettivante "esplicita e abbraccia compiutamente il suo oggetto dominandolo".Identità e differenza definiscono non solo la verità ma anche ogni sua interpretazione.Al punto che, là dove un'interpretazione della verità si opponesse a una diversa interpretazione della verità tanto da contraddirla, non per questo bisognerebbe concludere che almeno una delle due è falsa.La verità, per così dire, sopporta la contraddizione.È questo il paradosso della verità.
Perciò l'ermeneutica non può non compiere un passo ulteriore: e farsi pensiero tragico, dice Ciancio.Infatti "pensiero tragico è precisamente quello che pensa la lacerazione della verità e del mondo nella sua possibilità, nella sua realtà e nelle sue conseguenze, e tiene ferma questa lacerazione senza mediarla razionalmente o esteticamente".Ciò non significa che il tragico prospetti un rapporto fra i contrari che "si arresta negativamente all'opposizione".Significa piuttosto che tale rapporto non può essere esibito e resta enigmatico. Non senza dar luogo a una dialettica paradossale.La stessa che possiamo riconoscere alla radice sia del tragico antico sia del tragico moderno.Nel primo caso il positivo si rovescia nel negativo, però aprendo verso una sconcertante forma di salvezza (infatti l'agonista trova consolazione nel suo stesso soccombere).Nell'altro caso accade il contrario, però secondo una perfetta simmetria (dalla morte di Dio viene una redenzione che getta una luce scandalosa sul mondo irredento).Tragicamente, la verità di cui qui si tratta si lascia interpretare ma non dimostrare né tantomeno "oggettivare".
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