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Non è necessario essere degli studiosi di politica comparata per accorgersi di come, negli ultimi decenni, il ruolo dei parlamenti si sia profondamente modificato. Sempre più i regimi democratici, al di là della forma costituzionale, si sono caratterizzati per un ruolo più incisivo del governo e per una correlativa diminuzione d'importanza delle assemblee elettive nella definizione del processo legislativo: una conferma scientifica di questa impressione la offre il volume di Pasquino e Pelizzo. L'indagine abbraccia cinque paesi (Francia, Germania, Gran Bretagna, Italia e Stati Uniti), di antica o almeno non recentissima tradizione democratica, caratterizzati da tre sistemi costituzionali diversi (presidenziale, semipresidenziale, parlamentare), nonché rappresentativi di due diverse versioni di uno di essi (il parlamentarismo anglosassone e quello continentale). In altri termini, per quanto il campione di nazioni preso in esame sia numericamente ristretto, esso è ampiamente significativo tanto sotto il profilo della modellistica che della storia costituzionale. Una volta fissata una generale tipologia dei parlamenti, la ricerca passa in rassegna vari aspetti qualificanti: rapporto con il governo, quantità e qualità dell'attività legislativa, funzioni di controllo e modo in cui esse vengono esercitate. Le conclusioni che scaturiscono dall'ampia evidenza empirica raccolta, nella migliore tradizione della scienza politica, non si sottraggono a un'indicazione prescrittiva. Se vogliono mantenere una funzione essenziale nella vita pubblica e non essere inevitabilmente condannati a deperire, i parlamenti debbono saper aggiornare e rinnovare la loro funzione secolare. Abbandonare "l'illusione del loro (stra)potere legislativo", per diventare invece "protagonisti del controllo, centro di legittimazione dell'attività politica di governo e opposizioni".
Maurizio Griffo
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