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La questione della letteratura degli italiani emigrati è stata negli ultimi anni affrontata in una prospettiva interculturale, che consente finalmente di operare le dovute distinzioni fra le varie generazioni di scrittori, in rapporto al loro diverso grado di interazione con la cultura acquisita. Il libro di Fontanella è un ottimo frutto di questa fase degli studi, in particolare sulla produzione degli italoamericani: ma già questa etichetta risulta, a un'attenta analisi, ben poco precisa. Nel saggio introduttivo l'autore, che insegna alla State University of New York di Stony Brook (ed è anche poeta e narratore), sottolinea infatti che la letteratura italoamericana è soggetta a una profonda modificazione storica, dovuta alla progressiva attenuazione dei legami degli emigrati con l'Italia, e precisa che, invece di ricercare una sua inesistente sostanza "etnica", occorre indagare le sue diverse sfumature, in rapporto continuo e dialettico con la produzione letteraria americana nel suo complesso. Ecco allora che, a seconda dei periodi e degli autori, si potrebbe parlare di "americo-italiani", "italo-americani", "italo-italiani" (questi ultimi scrittori "ubiquitari", ormai intrinsecamente biculturali e cosmopoliti, come Paolo Valesio o Franco Ferrucci, dei quali peraltro il saggio non si occupa).
Oltre a offrire un rapido ma preciso panorama della letteratura dell'emigrazione sin da fine Ottocento (con una ricca bibliografia), Fontanella propone quattro capitoli dedicati ad alcuni fra gli autori più rilevanti, in diversi periodi storici. Il primo è l'abruzzese Pascal (Pasquale) D'Angelo, espatriato negli Stati Uniti nel 1910 e autore, oltre che di numerose poesie (in parte qui proposte), di un'autobiografia (Son of Italy) in cui rievoca la sua terra d'origine in termini quasi mitici e descrive senza edulcorazioni le difficoltà della vita in America. Segue un saggio dedicato al pugliese Joseph Tusiani, emigrato nel 1947, il quale manifesta nei suoi versi un uso plurilinguistico, frutto di una solida cultura classico-umanistica, che consente a questo scrittore di impiegare l'inglese o l'italiano, a forte base latineggiante, con uguale abilità (e interessante è il deciso ritorno all'italiano nella produzione più recente).
Di notevole efficacia i testi di Alfredo De Palchi, nato in provincia di Verona nel 1926 ed emigrato negli Stati Uniti nel '56, dopo una detenzione per accuse poi rivelatesi infondate. I versi di De Palchi, apprezzati da Vittorio Sereni, deformano l'italiano, non senza implicazioni psicoanalitiche e surreali, e riescono a esprimere bene l'insensatezza della vita nella Grande mela, attraverso una contro-epopea della quotidianità. Ma il saggio più lungo è dedicato al molisano Giose Rimanelli, ben noto al pubblico italiano per il diario della sua giovanilissima adesione alla Repubblica di Salò (Tiro al piccione, 1953, riedito con introduzione di Sebastiano Martelli per Einaudi, 1991). È proprio Rimanelli a darci con Familia (2000) un'intensa "memoria dell'emigrazione", che ripercorre sia le motivazioni personali (non solo economiche) per gli espatri tra fine Ottocento e inizio Novecento, sia la situazione di chi è arrivato negli Stati Uniti dopo, senza più miti e grandi illusioni. Emigrazione come ricordo, come destino, come arte: con queste formule Rimanelli identifica condizioni diverse, che portano in conclusione a considerare la patria un "luogo ubiquitario dove si è sempre a casa, perché casa e scrittura combaciano".
A. Casadei insegna letteratura italiana all'Università di Pisa
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