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Il poeta di Melicuccà è ultimo e strenuo rappresentante "dell'Arcadia ermetica italiana" (Alberto Frattini). Ha portato, con molto pregio, nonostante gli esiti tardivi, l'ermetismo europeo nell'area retorica e carica di problemi della provincia, interpretando alla rovescia il saggio di Carlo Bo, Letteratura come vita, vale a dire applicando l'assunto di morte alla letteratura. Lorenzo Calogero fu fortemente attratto alla poesia romantica tedesca: dalle visioni fascinose del paesaggio ellenico e dalla rete di simboli, spesso oscuri e misteriosi, di Friedric Holderlin; dall'avventura mistica di Novalis; dalle fiabe raccolte in "Phantasus" da Johann Ludwig Tieck. Nella sua poesia convengono anche la complessa e fluttuante materia psicologica e il senso di magia e mistero delle "Liriche ballate" dell'inglese Samuel Taylor Coleridge e le letture dei francesi: Arthur Rimbaud, Paul Verlaine, Charles Baudelaire, Stéphane Mallarmé. Né si sottrae ai procedimenti orfici ed evocativi di Dino Campana, alle influenze di Papini, Betocchi, Ungaretti, Montale, Quasimodo, Sinisgalli, Sereni. Mescolò ibridamente questo bagaglio culturale con il simbolismo, il surrealismo, l'ermetismo. Considerò la parola ermetica, allusiva, analogica, imprevedibile, come "particella di vita". Impervio, però, fu il suo cammino nell'attività poetica, che fu un accavallarsi illogico di immagini, di ambigue evocazioni, di inquietudine spirituale, di disordinate visioni, di reiterate espressioni e giochi verbali, di sogni "infetti", di manie di persecuzione, di cose "perverse", di stati psichici di assoluto isolamento, strazianti, malinconici e continuamente mutevoli. (un articolo di Vincenzo Napolillo, 2006)
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