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Una vedova sessantenne che vive sola ha una relazione con un marocchino molto giovane
Emmi, una sessantenne vedova e con figli sposati, incontra una sera in un bar Alì, un marocchino immigrato per lavoro in Germania. L'uomo, dopo un po' di chiacchiere, l'accompagna a casa, dove la donna vive sola: essa apprende che egli abita lontano con altri cinque compatrioti in una sola stanza e gli offre un letto per la notte. Nasce così un bizzarro "ménage", ma ciò che manda fuori dei gangheri figli, nuore, fornitori, condomini e compagne di lavoro (Emmi si occupa delle pulizie nell'edificio in cui abita) non è tanto la clamorosa differenza di età tra lei ed il marocchino, quanto il fatto che una "buona tedesca" si sia scelto un uomo di colore.
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Saggio di fulminante lucidità ed efficacia su quanto il razzismo fosse figlio, oltre che di pregiudizi e cattiveria, anche e soprattutto di quelle strutture e di quei meccanismi di oppressione sociale che spesso regolano lo stesso vivere comunitario. Girato a Monaco, il film è innanzitutto il racconto di due solitudini che Fassbinder non perde occasione di rappresentare, anche visivamente, attraverso precise scelte di regia, unite contro il soffocante ambiente che le condanna. Come sia possibile che due persone fra loro così diverse per cultura e radici si innamorino l’una dell’altra è un quesito che Fassbinder lascia irrisolto poiché non costituisce il centro della sua riflessione. Ciò che vuole indagare è l’altrui reazione all’inconsueto, ovvero i processi di difesa e a volte di violenta discriminazione che vengono attuati dagli individui nel momento in cui si trovano a fare i conti con la gravosa scoperta di un fatto inconcepibile di cui non hanno gli strumenti per comprendere e accettare. Attraverso il suo caratteristico stile – curato nella composizione estetica, ma minimale nella messa in scena – in cui straniamento e realismo si compenetrano, i campi sono perlopiù medi e ogni lento movimento di macchina è emotivamente sonoro. Fassbinder redige una sorta di fenomenologia per immagini del razzismo, intendendo con tale formula la cruda analisi di ciò che in realtà lo sottende, lo origina e lo alimenta. “Voglio raccontare solo degli episodi che mi sembrano importanti. Importanti non nel senso che chiudono le cicatrici della società, ma perché permettono ai personaggi di esprimere la sofferenza in tutta libertà”. In queste sue parole, risiedono la grandezza e l’eredità del regista: l’ostinato slancio verso l’oltre e il disagevole, nonché il ripudio di comode rassicurazioni o parziali risposte ai problemi che di volta in volta si affrontano, guidati dalla consapevolezza di quanto questo possa limitare e rendere infruttuoso qualsiasi esame critico dell’esistente.
È il film perfetto per entrare nell'idea di Fassbinder della società tedesca, ma anche dell'ipocrisia subdola e crudele dell'essere umano, incapace di amare l'altro per salvare alla fine sempre e soltanto se stesso. La miseria è appiccicata addosso e guida le scelte, le decisioni, tutta la vita. Forse solo chi la miseria la subisce è davvero capace di rifiutarla. Fassbinder, anche qui, ci mette davanti noi stessi. Il film è attualissimo! Meravigliosi i protagonisti, confermano l'eccezionale regia di Fassbinder!
Una delle caratteristiche dei film di Fassbinder è quella di risultare attuale anche ad anni di distanza dalla loro realizzazione, e “La Paura Mangia l’Anima” ne è una delle dimostrazioni più significative. La storia di una donna non più giovanissima che inizia una relazione con un giovane immigrato marocchino andando contro qualsiasi convenzione e pregiudizio ci viene raccontata in modo lucido e spietato nello stile tipico del regista tedesco. Un’opera importante nella filmografia fassbinderiana che ci mostra ancora una volta quanto possa costare caro l’essere diversi.
Recensioni
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