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Il Terzo mondo fu "uno dei settori-chiave della guerra fredda prima, e della coesistenza competitiva in seguito". Partendo da tale premessa, l'autore indaga con rigore il rapporto tra Pci togliattiano e Cuba rivoluzionaria. Molte le analogie tra i due soggetti. Togliatti sin dal 1956 aveva indicato nel policentrismo il terreno sul quale il Pci poteva sviluppare la propria autonomia senza porre in discussione l'unità del movimento comunista. Ma la cultura staliniana avrebbe pesato a lungo sul rinnovamento del partito. Senza contare le contraddizioni di Cuba, il cui ruolo internazionale fu rilevante, malgrado il suo "scarso peso geopolitico". Essa costituì un laboratorio dell'azione sovietica nel Terzo mondo. Cuba fu anche un banco di prova del movimento dei non allineati, la cui polarizzazione tra Urss e Cina, assieme a quella tra l'opzione diplomatica di Tito e il "foco" della lotta armata propugnata dai cubani, avrebbe finito con l'indebolirne il ruolo internazionale, determinando l'abbandono dei principi di Bandung. E se nel 1959-61 il rapporto con Cuba ebbe un carattere "esplorativo", a partire dal 1962, con la crisi dei missili, l'internazionalismo del Pci rivolse all'isola caraibica un'attenzione sistematica. Erano in gioco la via democratica al socialismo e il ruolo protagonistico del partito di Togliatti, alla ricerca di una strategia comune tra il movimento comunista europeo e i movimenti di liberazione. La politica estera di Castro e di Guevara avrebbe reso arduo il dialogo tra comunisti italiani e cubani, come testimoniarono le missioni di Ingrao e Chiarante a L'Avana e di Sandri in America Latina, nel 1964-65, che non valsero però a impedire una grave battuta d'arresto nei rapporti bilaterali.
Marco Galeazzi
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