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Una terribile peste dilaga a Napoli dal giorno in cui, nell'ottobre del 1943, gli eserciti alleati vi sono entrati come liberatori: una peste che corrompe l'anima, spingendo le donne a vendersi e gli uomini a calpestare il rispetto di sé. Trasformata in un inferno di abiezione, la città offre visioni di un osceno, straziante orrore: la peste – è questa l'indicibile verità – è nella mano pietosa e fraterna dei liberatori, nella loro incapacità di scorgere le forze misteriose e oscure che a Napoli governano gli uomini e i fatti della vita, nella loro convinzione che un popolo vinto non possa che essere un popolo di colpevoli. Null'altro rimane allora se non la lotta per salvare la pelle: non l'anima, come un tempo, o l'onore, la libertà, la giustizia, ma la «schifosa pelle». Battuta celebre: Generale Cork: ma a Napoli non ci sono i cimiteri per i pesci? Malaparte: non credo che ce ne siano. I napoletani non seppelliscono i pesci, li mangiano. Viene servito a tavola il cadavere di una bimba. Il generale Cork: Italian people eat children at dinner. I refuse, I don’t eat Italian childrn. La liberazione di Napoli da parte degli americani, dopo l'occupazione tedesca, la peste portata dai liberatori, il degrado umano che si raggiunge per fame, vengono descritti minuziosamente con fatti che sembrano incredibili. La conversazione cade su poltrone rivestite di pelle umana. “Quelle poltrone sono in Italia, nel castello dei Conti di Conversano in Puglia. Fu un Conte di Conversano verso la metà del Seicento che fece uccidere e togliere la pelle ai suoi avversari, preti, nobili, ribelli, briganti per ricoprirne le poltrone della grande sala del suo castello. Ve n’è una, la cui spalliera è coperta dalla pelle tolta dal seno e dal ventre di una monaca. Si vedono ancora i segni delle mammelle, dei capezzoli lucidati e consunti dall’uso. Romanzo di rara potenza.
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