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Per un nuovo grande compromesso storico - Enrico Berlinguer - copertina
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Per un nuovo grande compromesso storico

Descrizione


In un lungo intervento, pubblicato in tre parti su «Rinascita» nell’autunno del 1973, Enrico Berlinguer riflette sulla tragica fine della democrazia cilena e introduce nel dibattito politico il concetto di «compromesso storico». Per il segretario del Partito comunista italiano l’unica difesa possibile a una svolta reazionaria anche nel nostro Paese è un’alleanza con la Democrazia cristiana. Un’operazione politica che non è una novità nella storia del Pci, sostiene lo storico Fabio Vander, secondo cui la «svolta di Salerno» di Togliatti e il «compromesso storico» di Berlinguer sono le manifestazioni di una stessa cultura politica. Quella che ha contribuito a «rendere impossibile» l’alternanza fra coalizioni e progetti politici distinti, come dimostrano le ricorrenti «larghe intese».
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Dettagli

2014
16 aprile 2014
89 p., Brossura
9788868261016

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  Questo volume ripropone utilmente il testo dei tre famosi o famigerati articoli, pubblicati a puntate, a cominciare dal 28 settembre 1973, dal settimanale "Rinascita", con cui Enrico Berlinguer ha lanciato il grande compromesso storico che avrebbe dovuto portare al governo i comunisti insieme con i socialisti ma, soprattutto, con l'ancor più grande Dc. Come noto, prendendo spunto dal golpe cileno, il segretario del Pci tradusse la risposta imperiale degli Stati Uniti al socialismo democratico di Allende nella proposta di un'alleanza con la Dc. Insomma non sarebbe bastato il 51 per cento per governare l'Italia. Secondo Vander, vero autore del libro (l'introduzione è più lunga dei testi riportati), il riferimento cileno costituisce un mero pretesto per riproporre la continuità della politica togliattiana. Ciò è soltanto in parte vero perché basterà la marcia di avvicinamento del Pci al potere governativo per scatenare una risposta violenta, quanto più clandestina, degli apparati di sicurezza statunitensi. Quindi, non un pretesto ma una lettura errata per difetto della politica di Washington. Ha, invece, ragione Vander quando sostiene che la vocazione consociativa costituisce una costante nella cultura politica del comunismo e dell'ex comunismo italiano. La seconda svolta di Salerno (il cui testo Vander avrebbe fatto bene a riprodurre e a non minimizzare), con cui Berlinguer riporta il suo partito all'opposizione, non a caso non convince la sua maggioranza interna. La quale riaffiorerà ogniqualvolta si tratti di affossare un tentativo di alternativa di sinistra, per quanto moderata (che si tratti della svolta di Occhetto o dell'ulivo di Prodi). È a quel punto che si cementa l'alleanza negativa tra il togliattismo di D'Alema e il consociativismo sociale di stampo migliorista. Il libro di Vander è prezioso perché insegue un disegno che in altro contesto nazionale sarebbe banale: quello dell'alternativa di governo. Esso resta tema di discussione politica di scottante attualità perché, in un Occidente segnato da una crescente disuguaglianza, costituisce la condizione per una saldatura tra istanze sociali pressanti e la loro rappresentanza politica; che, se venisse a mancare a sinistra, vedrebbe protagonista la destra estrema.   Gian Giacomo Migone  

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