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Ho letto attentamente questo libro di J.S. Spong, cercando di capire il suo pensiero e le sue ripetitive argomentazioni. Ci sono intuizioni e riflessioni che - a mio avviso - possono e debbono essere condivisibili, perché frutto di una convergenza fenomenologica ormai quasi universalmente accettata o perlomeno discussa con oggettività. E questo è il 10% del libro. Il restante 90% è frutto di un'immaginazione utopistica sconcertante e mi meraviglia il suo linguaggio a tratti duro e quasi arrogante. Spong distrugge praticamente il cristianesimo. Non solo i credo che identificano la fede cristiana, le cui affermazioni si potrebbero discutere ma non liquidare come teiste sic et simpliciter. Spong arriva a distruggere il Vangelo, Gesù, la Chiesa, i sacramenti. Giunge al limite - secondo me - quando sostiene che il Padre nostro è pieno di teismo e può essere ormai tralasciato. In pratica questo teologo fa teologia col piccone. Parafrasando qualcuno... poteva intitolare il libro "Come si fa teologia con la ruspa". Questo non è un cristianesimo riformista ma un cristianesimo rifondato e questa pretesa è francamente insostenibile. Non ho dunque motivo alcuno per apprezzare questo libro. Con tutto il rispetto per l'Autore, mi sembra giusto sostenere una riforma di tante cose del cristianesimo, forme cultuali, liturgiche, disciplinari, linguistiche... ma non credo si possa sostenere una riforma della fede. E, infatti, alla fine, quello di Spong non è più un cristianesimo fondato su Cristo ma una dimensione religiosa nutrita di psicologia, umanesimo, "politica"... dove Cristo non c'è o quasi e dove la Scrittura non ha più alcun valore. Così Spong distrugge tutto e resta soltanto cenere. In questo modo Spong ha paradossalmente ragione: gli esiti del suo esilio non possono che condurre verso mete certamente rispettabili e vere per lui ma non per me e molti altri. Un libro che vuol contenere tutto un progetto, ma sicuramente dove regna molta teologia controversa.
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