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Descrizione


La riflessione filosofica di Heidegger privilegia l'esperienza della poesia e ignora quella della pittura, così come quella della letteratura, di cui non avverte il potenziale ermeneutico; tutto il suo edificio teorico poggia sulla dicotomia tra il pensiero calcolante, che esprime il dominio della tecnica, e il pensiero poetante, a cui viene attribuita la facoltà di attingere ad un'altra origine del pensiero al di là del paradigma metafisico. Il pensiero poetante delucida e interpreta la poesia pensante, generando un pensiero rammemorante che rimuove l'oblIo della differenza ontologica generato dalla metafisica e portato a compimento nell'epoca dell'organizzazione tecnico-scientifica del mondo. Raccogliendo l'eredità della questione heideggeriana, ci si potrebbe domandare: perché i poeti e non i pittori? come giustificare il privilegio della parola sulla figura? quali altre prospettive teoriche si delineano se, accanto all'esperienza della poesia, collochiamo quella della pittura? perché Heidegger postula un oltrepassamento/remissione della metafisica nel pensiero poetante trascurando l'arte figurativa? Quale orizzonte oltremetafisico verrebbe dischiuso dalla verità in pittura? Tale interrogazione può essere ora estesa all'esperienza della narrazione, all'ambito inesplorato del romanzo: perché i poeti e non piuttosto i romanzieri?
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Dettagli

2006
19 maggio 2006
251 p., Brossura
9788873251446

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alida airaghi
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Gli undici saggi qui antologizzati sono i testi di conferenze tenute all'Università di Torino nel 2005 da rappresentanti di spicco della cultura italiana: per lo più filosofi, ma tra le loro voci si inseriscono anche quelle di uno psichiatra e di una scrittrice. Il volume polifonico che ne risulta si interroga sulla possibilità, suggerita da Heidegger, che alla speculazione metafisica, o più in generale all'indagine filosofica, il pensiero poetante possa offrire un'ulteriore, più sottile e vibrante, prospettiva esperenziale di conoscenza, di proposta e di giudizio sulla vita. Poesia e romanzo, invenzione e immagine, quale contributo possono dare alla riflessione sui temi fondanti della nostra esistenza? Gianni Vattimo interpreta la definizione heideggeriana di "arte come messa in opera della verità" definendo l'opera d'arte veramente tale solo quando sia in grado di aprire dei mondi, e contenga un'istanza di precorrimento, di futuribilità, introducendoci in una dimensione di desiderio o di fondazione. E così tutti gli altri interventi si misurano, con acuta sensibilità, con gli universi in cui i più eccelsi tra i poeti e i romanzieri riescono a configurare il reale e ciò che oltrepassa il reale. Paola Capriolo rilegge Rilke, "depositario di un senso ultimo, di una rivelazione... che non si pone fuori della norma umana, ma la esprime al massimo grado di purezza"; Eugenio Borgna scopre nell' "ossessivo autoascolto" di Georg Trakl "una tristezza esistenziale stremata e indifesa"; Guido Brivio vede nel "corpo a corpo con la vita" di Thomas Bernhard "il progetto vitale e mostruosamente coerente di una catastrofe". E poi Proust, Celan, Mann, Melville vengono filosoficamente sviscerati nella volontà di arrivare, attraverso le cose prossime, alle "cose ultime", come suggerisce Sergio Givone. Perché già Camus, citato dal prefatore del volume Marco Vozza, scriveva: "Si può pensare soltanto per immagini. Se vuoi fare il filosofo, scrivi romanzi".

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