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Prendete questo libello per quel che è: una provocazione. Scorre bene, anche troppo: non va in profondità, si limita alla denuncia, o alle proposte generiche e, per finire, alle caricature. Se poi volete leggere qualcosa di meglio sull'argomento, consiglio "Diario di scuola", scritto da un emerito ex-somaro come Daniel Pennac. Non vi troverete solo la denuncia, ma anche e soprattutto l'amore per la scuola, unica istituzione capace di redimere giovani socialmente e culturalmente emarginati, arrivando a far loro imparare a memoria intere pagine di grandi romanzi del passato. L'unico passo del libro che mi è piaciuto davvero, è dove si insinua (purtroppo solo di striscio) che il disastro della scuola italiana non è il risultato casuale di un'incapacità della nostra classe dirigente, ma di un'azione premeditata e scientifica, volta a fare degli italiani "non più un popolo, ma una plebe", in quanto tale sempre più facile da manipolare e sfruttare. Questo è l'argomento che mi sarebbe piaciuto fosse stato maggiormente sviluppato. Sarà per la prossima volta.
Un libro ironico e al tempo stesso pieno di spunti di riflessione, in più scritto in modo fluido: peccato solo che dopo averlo finito non si può non pensare alle nuove generazioni con un pizzico di tristezza, più di un pizzico...
Mitico!Per me quelli che hanno dato un giudizio basso a questo libro, non hanno capito la profonda ironia di questo prof ( e l'epilogo è illuminante su questo). Solo chi è profondamente innamorato di questo lavoro lo può fare e può scherzarci sopra in questo modo
Recensioni
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Suscita reazioni contrastanti questo ennesimo pamphlet sulla scuola italiana scritto da un "prof", o almeno sedicente tale: Perboni è infatti uno pseudonimo, e più di qualcosa, nello stile e nella costruzione del libro, fa pensare a un'opera prodotta a tavolino, dove l'esperienza reale di un insegnante si mescola a uno scaltrito mestiere editoriale.
La prima e più spontanea reazione è il consenso. Con molte delle rapide e spesso godibili note di questo "diario" è in effetti difficile non sentirsi in sintonia: quando Perboni denuncia (come fa in una maniera spesso fintamente incidentale) le assurde trappole organizzative, burocratiche e pseudodidattiche che oggi inceppano e mortificano, anziché favorirlo, il normale lavoro di un docente, egli denuncia storture inoppugnabili. Così come è ben fondata l'accusa che rivolge al lassismo e al permissivismo che imperano nella conduzione della scuola. Additando questi mali del "sistema", tuttavia, Perboni sfonda delle porte già ripetutamente aperte dalla penna coraggiosa e tagliente di diversi altri insegnanti-scrittori.
Ciò premesso, disorienta non poco il modo in cui Perboni rappresenta l'altra importante faccia dell'universo scolastico, quella alla quale per altro egli dedica maggior spazio e un certo impegno letterario: il rapporto quotidiano tra insegnante e alunni (e le loro famiglie). Per un verso, infatti, Perboni ritrae lo studente italiano medio di scuola superiore con un'apprezzabile verve comico-realistica: i ritratti e le scene che escono dalla sua penna potranno forse sembrare un po' troppo inclini alla macchietta giovanilistica; in realtà sono discretamente verosimili.
Il ragazzo/studente di Perboni è un consumatore indefesso e inebetito di miti mediatici della televisione commerciale (dal Grande fratello ad Amici); un dipendente acritico delle nuove tecnologie telematiche capaci di moltiplicare all'infinito la comunicazione giovanile a dispetto della sconcertante vacuità dei messaggi. Apatico, consumista, irrimediabilmente massificato e conforme al cliché che media e pubblicità gli costruiscono addosso, il ragazzo/studente di Perboni è un animale d'allevamento che vive ciecamente alla giornata. Segue degli istinti basilari sesso, cibo, sopravvivenza, sopraffazione, quando può, del più debole ma non sa subordinarli a un progetto di vita, meno che mai a una passione ideale o a una gerarchia di valori. Tenta tutt'al più furbizie spicciole per barcamenarsi, ma non gli riesce mai di pensare e di agire in maniera intelligente e lungimirante. Nella scuola il ragazzo/studente appare insomma un estraneo e perciò giocoforza un "parcheggiante", del tutto ignaro dello scopo per il quale siede (meglio: è stato messo a sedere) sui banchi.
Fin qui, dunque, tutto abbastanza attendibile o quasi.
Quello che invece sconcerta parecchio (e convince poco) è, sull'altro versante, l'atteggiamento che il sedicente prof Perboni assume di fronte a questa disarmante umanità che lo sfida ogni giorno: lungi dall'impegnarsi per tentare di riscattarla o scuoterla, egli abdica ostentatamente al suo ruolo; anzi, non nasconde di aver già rinunciato da sempre e a priori, senza rimorsi né rimpianti a qualsiasi velleità educativa. La posa carognesca che sin da subito Perboni assume è la sigla comportamentale di questa sua irrevocabile rinuncia. Il prof Perboni (non dico l'autore del libro) è infatti un insegnante che non svolge più il suo mestiere, perché semplicemente, a ragione o a torto, è convinto che non gli sia più possibile farlo. Si limita perciò ad adeguarsi all'andazzo ambientale, trascinandosi giorno per giorno tra incombenze routinarie e sussulti di sadico revanscismo nei confronti delle malefatte dei suoi studenti. Il suo fine dichiarato è sbarcare il lunario con il minimo danno. I suoi mezzi prediletti sono il ricatto e il contrappasso: pagine di diario intimo degli allievi lette pubblicamente, ciniche umiliazioni coram populo dei più discoli, persino graffiature inferte ai loro motorini per rifarsi di quelle subite sulla propria auto. Insomma, una sorta di descensus ad inferos senza prospettive di salvezza; un'autodegradazione volontaria ai fini della mera sopravvivenza.
Che questa maschera urticante sia anche la vera faccia dell'autore anonimo è difficile credere, perché alla penna dell'autore sfuggono qua e là affermazioni che contrastano con il personaggio dietro cui si nasconde: come, per esempio, quando dice di essere appassionato delle buone letture o nostalgico della scuola vera di un tempo o, ancora, convinto sostenitore di un apprendimento autonomo dalle sue future applicazioni professionali: "La scuola non deve insegnare ciò che si fa nel mondo del lavoro (
) a scuola si insegnano le materie scolastiche e, se lo si fa bene, l'applicazione pratica degli insegnamenti verrà di conseguenza". La forma e il tono di queste affermazioni attestano la persistenza non residuale di un'immagine alta del proprio ruolo: di quella vocazione, cioè, che Perboni dice di aver rinnegato senza rimorsi.
Si ha insomma l'impressione che confliggano nel testo voci contrastanti; una che punta sistematicamente a costruire ed esibire dell'io narrante un'immagine "bassa", politicamente scorretta e perciò paradossalmente più commerciale, considerata l'infima stima di cui godono oggi gli insegnanti; e un'altra invece, più dissimulata, che tradisce diversi e forse più sinceri sentimenti e pensieri dell'autore. Se sia poi l'autore stesso a nutrire realmente in sé queste contraddizioni o se esse siano frutto di un compromesso editoriale abilmente confezionato a mente fredda è difficile dire: resta il fatto che Perle ai porci trasmette oggettivamente al lettore messaggi contraddittori.
Un esempio su tutti: da un lato Perboni non risparmia critiche, anche molto incisive, alla conduzione della scuola italiana degli ultimi anni, in particolare a quella dell'attuale ministero; dall'altro mostra dell'insegnante medio italiano un'immagine così poco edificante da offrire su un piatto d'argento ai nostri politici alibi a iosa per continuare a rottamare senza rossore quello che resta della scuola pubblica. Forse a questi singolari effetti di lettura il sedicente prof Perboni non ha pensato; può ben averci pensato, invece, il suo ipotetico e navigato consulente-collaboratore editoriale: un colpo al cerchio (i ragazzi), un colpo alla botte (gli insegnanti) e una strizzatina d'occhi ai ministri Gelmini e Brunetta.
Paolo Mazzocchini
Perboni torna in cattedra. Questa volta però non si tratta del maestro elementare di deamicisiana memoria, ma dell'anonimo professore di un istituto tecnico dei nostri giorni, che ha scelto come pseudonimo il nome del maestro per "eccellenza". Insegnante non di primo pelo ma con un'esperienza di oltre vent'anni, il novello Perboni racconta la scuola d'oggi in un diario ironico e appassionante, che si legge come un romanzo. Nato da un blog di "appunti disorganizzati per trovare ancora un senso alla scuola", Perle ai porci è il resoconto di un anno tra i banchi, da settembre a luglio, raccontato in prima persona da chi siede al di là della cattedra. Un libro in cui nomi e luoghi sono di fantasia, ma eventi e circostanze sono assolutamente reali, e da cui scaturisce un ritratto a tutto tondo dei giovani d'oggi e del loro mondo, a tratti spassoso a tratti scoraggiante. Insieme agli studenti, anche docenti, presidi e genitori si affollano in un racconto spesso irresistibilmente comico, venato della disillusione e del cinismo di chi ormai non si sorprende più di nulla. Perché Perboni è un professore appassionato che per sopravvivere ha saputo sviluppare un metodo personale di lavoro che a volte lo trasforma, agli occhi degli studenti, in una vera e propria "carogna".
Come non sorridere leggendo le pagine in cui Perboni espone la tattica infallibile per dissuadere la studentessa "che trascorre più tempo seduta sul cesso che sulla sedia dietro al banco" a richiedere l'ennesima visita alla toilette. E che dire del capitolo in cui, incarnando il perfetto perfido insegnante, spiega come cogliere di sorpresa lo studente meno preparato e trascinarlo alla cattedra per un'interrogazione rigorosamente non programmata proprio quando era ormai convinto di averla fatta franca. Per non parlare dei colloqui con i genitori che molto spesso se ne escono con dichiarazioni a dir poco disarmanti tipo: "Capisce professore, alla scuola mio figlio può dedicare solo ritagli di tempo dagli allenamenti. D'altra parte il calcio è un impegno importante, da prendere seriamente", oppure: "Tutti quattro? Ma mia figlia mi ha detto che aveva tutti otto! è sicuro di non sbagliarsi lei?".
Ecco alcuni esempi di ciò che possiamo leggere in queste pagine che ci trascinano nel vivo del gran "circo" della scuola italiana che non smette mai di sorprenderci e farci riflettere, seppur con un amaro sorriso.
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