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Finalmente un bell’esempio di quanto possa giovare la semplicità. Ciò che allo spettatore appare semplice, non lo è. È anzi il risultato di un’abilità non comune, quella di riuscire ad arrivare all’essenziale, senza renderlo banale. La regista riesce poi a far accettare di buon grado anche ad un pubblico adulto un volo di fantasia, tipico dei bambini. Così trasporta lo spettatore nella mente di Nelly, lo fa immergere nel suo mondo di bambina. Questi aderisce alla convenzione stilistica, sta al gioco, si diverte e riflette, condotto in modo arguto e leggero. Stilisticamente, la regista sa porre l’attenzione su quei particolari capaci di far avvicinare chi guarda al modo di fare, di esplorare e di intendere l’ambiente circostante che è proprio dei bambini. Ad esempio sono importantissimi i suoni perché rendono con immediatezza le emozioni e l’istintualità infantile: il rumore che Nelly fa quando beve il latte e sgranocchia i cereali al cioccolato esprime tutta la sua soddisfazione e il piacere che prova mentre fa colazione. Il suono della spazzolino che passa sui denti, la risata fragorosa che fa quando si diverte. Con questi suoni chiari e forti la bambina dice che c’è e che vuole essere vista e ascoltata. Anche i gesti sono importanti. Il gesto di affetto con cui Nelly passa le patatine e il succo alla madre che sta guidando, ad esempio. È proprio questo ciò che conta nel mondo dei bambini: gesti e suoni, più che parole. Non era facile rendere il punto di vista di Nelly con così tanta immediatezza ed efficacia. Spesso questa è una nota dolente di molti film, che mostrano i bambini come una sorta di adulti in miniatura, attribuendo loro atteggiamenti, parole, azioni non consone alla loro età. Lo stratagemma di finzione, che rimescola il tempo e fa incontrare le due bambine, poi, è funzionale ad affrontare il tema scelto dalla regista, ovvero il rapporto genitori-figli.
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