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Philip Pouncey per gli Uffizi. Disegni italiani di tre secoli - copertina
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Descrizione


I cento fogli selezionati testimoniano le predilezione di Pouncey e l'ampiezza delle sue conoscenze che spaziano per ben tre secoli, dalla fine del Quattrocento all'inizio del Settecento, e per tutte le regioni d'Italia. Costituiscono in moltissimi casi, anche per gli specialisti del disegno antico, delle autentiche novità, piene di conseguenze per la ricostruzione dell'attività grafica di artisti maggiori e minori, sempre osservati da punti di vista anticanonici.
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Dettagli

1993
1 dicembre 1993
XX-114 p., ill.
9788822241597

Voce della critica

TURNER, NICHOLAS, The Study of Italian Drawings, British Museum Press, 1994
AA.VV., Hommage à Philip Pouncey, Réunion des Musées Nationaux, 1992
AA.VV., Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi, Olschki, 1993
scheda di De Marchi, A., L'Indice 1995, n. 3

Philip Pouncey è morto il 12 novembre 1990, all'età di ottant'anni, e il suo ricordo cresce attraverso testimonianze di allievi e amici raccolte nei cataloghi delle mostre che il Louvre, gli Uffizi e il British gli hanno dedicato. Nei tre volumi il profilo di una personalità carismatica, impressionante per vastità di conoscenze, per l'entusiasmo e la generosità con cui sapeva comunicarle agli altri. In particolare il catalogo di Londra ripercorre passo a passo tutte le tappe della sua vita e ricostruisce con precisione il suo metodo quotidiano di lavoro. Un tributo tanto appassionato potrà sorprendere solo un giudice affrettato. Pouncey scrisse relativamente poco su temi molto circoscritti, ma in modo sempre puntuale, minuto, senza sbavature. Il suo radicale empirismo lo portava a diffidare di ogni elucubrazione e fino a trascurare la pubblicazione dei risultati, preferendo l'inesauribile, sempre nuova ricerca sul campo. Questi tre cataloghi, attraverso una scelta di disegni da lui ristudiati, hanno il merito di rivelare, in un'unica visione d'insieme, la straordinaria complessità dei suoi interessi, e al contempo di fare intuire quale sofisticato lavorio analitico fosse alla base di tali individuazioni.
Le attribuzioni di Pouncey, infatti, non sono mai banali. Lo si evince anche dal catalogo del British, che pure seleziona quelle più paradigmatiche, accompagnate da brevi schede e ottime riproduzioni. (All'opposto il catalogo del Louvre presenta piccole foto e schede più impegnate, e tra i circa 500 disegni studiati vi sono anche alcune proposte più problematiche, ad esempio una testa di giovane per lui di Boltraffio, poi meglio riferita a Giovanni Francesco Caroto, o un foglio avvicinato a Dosso Dossi, forse del fratello Battista).
Di un artista non gli interessavano i disegni più prevedibili, ma quelli anomali; sfuggiti a scrutini meno pazienti e che al contempo nella loro atipicità - di tecnica, di funzione, di iconografia - potevano rivelare "the fibre of a particular artist's mind" la cui individuazione era il fine precipuo di tutte le sue ricerche. Pouncey giunse al British dopo diversi anni trascorsi alla National Gallery e la sua forza di studioso di disegni si fondava su una conoscenza altrettanto approfondita della pittura. In più casi avviò da zero la ricostruzione della fisionomia disegnativa di un artista, partendo dagli indizi più sottili e ottenendo poi conferme sorprendenti (come per i disegni ritrovati del ferrarese Bastianino). Pouncey era attentissimo agli artisti trascurati, senza però infatuarsi delle scoperte per se stesse. L'esigenza di scattivare l'opera dei maggiori, "the nuisance value" di un riferimento errato giustificavano a suo dire tale accanimento classificatorio. Ma vi era pure implicito l'interesse per una geografia artistica meno canonica; per centri allora poco frequentati dagli studiosi di disegni - Cremona, Mantova, Verona, Ferrara, la Romagna, le Marche, Napoli, ecc. - e per situazioni figurative più ibride e perciò sfuggenti, come la Roma di secondo Cinquecento. Il frutto del suo lavoro - le infinite annotazioni apposte sui passe-partouts delle collezioni di disegni di tutto il mondo -, a saperlo intendere per tutto ciò che presuppone, è la migliore smentita di quanto Pamphile contestava all'expert", nei dialoghi di Roger de Piles (1677), e cioè che la sua fosse "une connaissance un peu superficielle et où la mémoire a plus de part que le jugement".

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