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«Pietà per la creatura!». La durata umanistica e sacrale nella poesia di Pier Paolo Pasolini - Michela Mastrodonato - copertina
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«Pietà per la creatura!». La durata umanistica e sacrale nella poesia di Pier Paolo Pasolini
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«Pietà per la creatura!». La durata umanistica e sacrale nella poesia di Pier Paolo Pasolini - Michela Mastrodonato - copertina
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Descrizione


Pasolini conversa con i classici, come loro brandisce l'arma della poesia, accende un chiarore nelle zone più opache e dolenti dell'esistenza. Pasolini distilla come Petrarca, sogna come Dante, assapora, denuncia, protesta e si commuove come Leopardi, e come i grandi letterati racconta l'ebbrezza e il dolore di essere una «creatura». Il suo canto ha la durata verticale dello studium: un canto umano che resiste all'omologazione, che si dimena per proteggere l'unicità della creatura dalle unghie del Potere che la vorrebbe simile a sé. Per l'umanista Pasolini ogni fragile creatura è intoccabile, sacra, da accarezzare con «pietà». «Egli fu umanista. - diceva di sé - Abbandonò gli studi per girovagare per le periferie: ciononostante gli studi erano in lui». Alludeva alla sua eredità più duratura (che non passa forse per l'indomita militanza antiautoritaria, non per l'ostentata omosessualità, e neanche per lo scandalo del corpo esposto, esiliato, umiliato...). Alludeva all'eredità delle sue parole pietose, dello sguardo umanistico e selvaggio con cui Pier Paolo ha amato la realtà «caso per caso, creatura per creatura».
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Dettagli

2017
18 maggio 2017
374 p., Brossura
9788876676307

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Costanza Balmer
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A partire dagli esordi letterari di Pasolini il saggio segue l’evolversi di una meditazione poetica che muta con le esperienze ma che in fondo si avvolge intorno a pochi ma resistenti approdi ideali di natura umanistica non abbastanza valorizzati dalla critica. Emerge, così, il sintomo costante (come direbbe Gianfranco Contini) di un’insistente e fertilissima conversazione con la «poesia della tradizione». Il saggio svela così il cuore umanistico della poesia pasoliniana che sotto pelle dialoga continuamente con i grandi della cultura occidentale: Virgilio, Petrarca, Machiavelli, Spinoza, tanto Leopardi, Pascoli, ma anche Sant’Agostino, San Paolo, il Vecchio e il Nuovo Testamento. E soprattutto Dante. Da questa tradizione Pasolini mutua il valore sacro dell’individuo, la durata creaturale di ogni singola esistenza, di ogni creatura irripetibile e intoccabile nella sua unicità. Anche il verso «Pietà per la creatura!» (La religione del mio tempo), è una citazione rigenerata ma ancora riconoscibile della supplica di Petrarca, poeta nient'affatto distante dalla sensibilità pasoliniana. In questa “durata creaturale” di origine umanistica, il saggio individua la portata eversiva e il radicale “antiautoritarismo” di Pasolini, la sua critica alla società dei consumi che spersonalizza, massifica, reifica e omologa «i tanti modi di essere uomini». In questo scenario si muove anche l’attesa di sacro di Pasolini. Non una banale nostalgia o ansia di sacro, ma appunto "attesa": una disposizione d’animo che non cerca, che non si mette in movimento, ma che sospetta una dimensione "altra", che sebbene contenuta nella materia storica percepita (Spinoza), allude a una luce ideale diversa. All’interrogazione dei testi poetici si affiancano incursioni nel cinema, nella prosa e nella produzione saggistica.

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