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Questo libro segna l’atto ufficiale (1931) del commissario Maigret. «La presenza di Maigret al Majestic aveva inevitabilmente qualcosa di ostile. Era come un blocco di granito che l’ambiente rifiutava di assimilare. Non che somigliasse ai poliziotti resi popolari dalle caricature. Non aveva né baffi né scarpe a doppia suola. Portava abiti di lana fine e di buon taglio. Inoltre si radeva ogni mattina e aveva mani curate. Ma la struttura era plebea. Maigret era enorme e di ossatura robusta. Muscoli duri risaltavano sotto la giacca e deformavano in poco tempo anche i pantaloni più nuovi. Aveva in particolare un modo tutto suo di piazzarsi in un posto che era talora risultato sgradevole persino a molti colleghi».
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Maigret si addentra in una realtà binaria riconducibile alla stessa persona. È proprio questo il mistero, che ha radici lontane nel tempo e nello spazio. Hotel di lusso e bettole di infimo ordine. Una residenza borghese rallegrata dal calore di una famiglia che ti aspetta. Una squallida stanza d’albergo dove due reietti celano i brandelli della loro esistenza. Il pedinamento non possiede il tasso adrenalinico dei polizieschi contemporanei, coadiuvati dalla tecnologia. Ma non è un difetto. Procede lento e metodico, orientato dalla bussola dell’osservazione in movimento, a piedi e in treno. Un tallonamento serrato che consente a Maigret di individuare le debolezze dell’uomo prima di arrestarlo. Secondo la “teoria delle crepe”, infatti, dietro ogni malvivente c’è un individuo. Questo poliziesco non è forse riconducibile alla dinamica visibilità/invisibilità? Soprattutto nella variante più dolorosa e intimistica di chi, costretto dalle circostanze a vivere nell’ombra, pretende il posto al sole di cui si sente in credito?
Il grande Simenon scrive uno dei suoi più bei Maigret, come sempre poche parole per creare grandi atmosfere e indagare con simpatia e acutezza una umanita' ferita e tormentata. Imperdibile lettura estiva,
"La presenza di Maigret al Majestic aveva inevitabilmente qualcosa di ostile. Era come un blocco di granito che l'ambiente rifiutava di assimilare" Questo romanzo fu il primo ad essere pubblicato nel 1931,con protagonista il commissario Maigret. Iniziamo a conoscere meglio il personaggio. Maigret è un uomo del sottosuolo, può frequentare senza difficoltà quartieri sordidi dove si nasconde una vita turpe, può decidere di seguire appostamenti tenaci, silenziosi, lunghi, che possono durare giorni. Maigret è un plebeo, ma di intelligenza sopraffina. Questa volta lo vediamo impegnato nella cattura di Pietr il Lettone abile falsario, raffinato truffatore ricercato in tutta Europa per falsificazioni di assegni e titoli. Maigret lo individua, lo segue, gli fa sentire la sua presenza ma non lo cattura subito. Inizia un silenzioso e freddo braccio di ferro tra lui e il criminale. I due si osservano, si conoscono e si riconoscono, ed entrambi aspettano un passo falso l'uno dell'altro. La tenacia, la perseveranza, la lucidità mai persa di Maigret, faranno la differenza immobilizzando il criminale che cadrà in trappola senza scampo. Un racconto che all'inizio può apparire confuso con intrecci a tratti nebbiosi ma che invece si va a rischiarare verso la metà, per evolvere in un finale teso ed inaspettato. Ormai è ufficiale, amiamo Maigret
Recensioni
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SIMENON, GEORGES, Pietr il Lettone
GRISHAM, JOHN, Il socio
recensione di Papuzzi, A., L'Indice 1994, n. 2
Quando il più celebre poliziotto della letteratura mondiale, il commissario Maigret, fa la sua prima apparizione, sessant'anni fa, nel romanzo "Pietr-le-Letton*, esso si scolpisce subito nell'immaginazione e nella memoria del lettore, in carne e ossa, con una corporeità che trapassa la pagina e con una psicologia che sfida il tempo. Lui è Maigret, semplicemente Maigret, senza un nome, senza un'età, senza un passato, e in fondo, a ben guardare, senza un futuro. Sta nella letteratura poliziesca, ma forse nella letteratura tout court, così come sta nel suo ufficio alla Sureté, nelle prime righe del primo romanzo: "imponente e massiccio, con le mani in tasca e la pipa a un angolo della bocca"; o come si piazza alla Gare du Nord, qualche pagina più avanti: "Lui stava lì, enorme, con quelle spalle impressionanti che disegnavano una grande ombra"; o come piomba nell'Hotel Majestic: "un blocco di granito che l'ambiente rifiutava di assimilare''. Quell'immobilità paziente e incombente è la gabbia di un implacabile e affascinante meccanismo: la "teoria della crepa", annunciata anch'essa già nel primo romanzo. Ogni criminale è un giocatore dell'infinita partita che si combatte fra la legge e il disordine, ma è anche un uomo: "Lui cercava, aspettava, spiava soprattutto la 'crepa'. Il momento in cui, in altri termini, dietro il giocatore appare l'uomo".
La riedizione presso Adelphi di tutte le inchieste di Maigret offre la possibilità di un istruttivo confronto con i nuovi campioni della letteratura poliziesca. Prendiamo John Grisham, l'autore americano che furoreggia, dopo la pubblicazione, in rapida serie fra il 1991 e il 1993, del "Socio", del "Rapporto Pelican* e del "Cliente". Farò riferimento al primo di questi bestsellers, perché è stato oggetto di una trasposizione cinematografica di successo, di Sidney Pollack, con Tom Cruise, arrivata sugli schermi italiani soltanto pochi mesi fa. Di Mitchell Y. McDeere, il giovanissimo avvocato protagonista della storia, noi sappiamo apparentemente tutto: come si chiamano lui, la moglie, il cane, i suoceri, quanti anni hanno esattamente, dove ha studiato, che voti ha avuto, e così via. Ma non sapremo mai che faccia ha: solo che è di "bell'aspetto". E anche atletico, perché era un asso nel football e perché una ragazza caraibica gli dice: "Sembri un atleta. Così muscoloso e solido". In realtà il socio è una forma vuota, pronta per accogliere la faccia da marine del divo hollywoodiano più pagato. Il socio non ha una faccia, finché non gliela dà il cinema, così come non ha una psicologia: egli agisce obbedendo ai meccanismi del thriller d'azione, sono questi a dettare la psicologia, piuttosto che il contrario. Non a caso tutta la macchina romanzesca si svuota nelle cento pagine finali, come un corpo senz'anima, tanto che Pollack ha inventato per "Il socio" cinematografico un finale completamente diverso e molto più efficace.
Anche Maigret ha avuto naturalmente le sue edizioni cinematografiche e televisive. Ma Maigret non è Jean Gabin n‚ Gino Cervi. Semmai è il contrario: essi sono possibili personificazioni di un'identità letteraria così prepotente da non poter essere realmente intaccata da rappresentazioni visive. Ciò vale anche per gli ambienti in cui si muovono Maigret o il socio: là una Parigi divisa fra l'esotismo della mondanità e la disperazione dei bassifondi, qui un'America che sembra ricalcata dai depliant patinati delle agenzie turistiche. Se l'alloggio di Maigret odora dello spezzatino "che sfrigolava nella pentola", in quella di McDeere "la tappezzeria s'intonava a meraviglia con le tende ed il tappeto". Il che non ha nulla a che vedere con la verosimiglianza. Anzi. Il mondo di Maigret dove un poliziotto può essere complice del suicidio del suo perseguito, fra bottiglie di rum e letti che cigolano, e stupendamente irreale, mentre l'America senza faccia di John Grisham, dove "il denaro compensa tutto" e dove mafia, avvocati o Fbi sono tutti della stessa pasta, rischia di essere spaventosamente vera.
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