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"Einaudi Storia", 15 - Volume in copertina rigida con sovraccoperta, 252 pagine. Copia in ottimo stato di un saggio fuori catalogo..
Scatenato dal taglio sensazionalistico di una recensione apparsa sul "Sole 24 Ore" il 27 maggio scorso, il vivace dibattito sollevatosi all'uscita di questo libro ha pressoché scavalcato la figura del suo protagonista, Pio XI, al secolo Achille Ratti, capo della chiesa cattolica dal 1922 fin quasi alla vigilia del secondo conflitto mondiale, focalizzandosi invece su quella del suo successore, Eugenio Pacelli.
L'oggetto del contendere riguarda l'ultimo degli atti compiuti da Pio XI in qualità di pontefice, che non venne reso noto soltanto per la morte intempestiva del papa, avvenuta il 10 febbraio 1939, ma anche a quanto afferma l'autrice del volume, Emma Fattorini, insegnante presso La Sapienza di Roma per responsabilità dello stesso Pacelli. Quest'ultimo atto, che doveva forse inaugurare un nuovo corso del pontificato Ratti, è rappresentato dal discorso che Pio XI scrisse fra il 31 gennaio e il 1° febbraio 1939, e che doveva essere pronunciato, pochi giorni più tardi, di fronte a tutto l'episcopato italiano, giunto a Roma per il decennale del concordato. Era quella, infatti, l'occasione scelta dal papa per prendere posizione contro il nazismo e lo stesso fascismo. Il pontefice avrebbe fatto cenno alle persecuzioni che avvenivano in Germania, soffermandosi poi sull'attività di spionaggio compiuta dal fascismo nei confronti dei vescovi: una raccolta di informazioni tesa a indebolire la chiesa, sfruttandone i dissensi interni.
Avvenne però che, alla morte di Pio XI, il cardinale Pacelli, divenuto responsabile, in quanto camerlengo, del disbrigo delle incombenze generali, ordinasse che le copie già stampate del discorso, portato in tipografia per poter essere riprodotto e quindi distribuito fra i vescovi, venissero distrutte assieme alle lastre e ai caratteri di piombo utilizzati per imprimerlo.
Pacelli censurò dunque il suo superiore? Il dibattito si è concentrato proprio sulla risposta a questa domanda. Secondo alcuni, infatti, il libro non rappresenterebbe che l'ennesimo attacco alla memoria di Pio XII, di cui si vorrebbe intralciare il processo di beatificazione nell'intento più ampio di colpire, per interposta persona, la linea conservatrice oggi adottata dal Vaticano. Certo è, in effetti, che, divenuto vescovo di Roma, Pacelli avrebbe tenuto verso il nazifascismo un atteggiamento ben più cauto rispetto a quello dell'ultimo Ratti.
Al centro del libro, però, non vi è tanto la contrapposizione fra Pio XI e il suo segretario di stato; vi è piuttosto la fotografia di una chiesa che, nei mesi precedenti la guerra, si vede costretta a interrogarsi in merito alle proprie scelte politiche. È stato proprio Pio XI, attraverso i concordati, a intraprendere la strada del compromesso con le dittature europee di destra. Ed è ancora papa Ratti, prima di altri, a rendersi conto che il totalitarismo rappresenta un pericolo non semplicemente per i principi di libertà che, come è noto, non appartengono alla tradizione cattolica ma per l'esistenza stessa della chiesa. I vertici del cattolicesimo si confrontano, insomma, con un passaggio estremamente delicato, particolarmente difficile da superare in quanto, negli ambienti vaticani, si è ancora lontani dall'avere assimilato i valori della democrazia: l'unica via alternativa, forse nella società di massa alla soluzione totalitaria.
Luca Briatore
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