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Descrizione


Quante persone, nell'antica Roma, leggevano? Chi comprava e dove i libri dei grandi poeti le cui opere sono giunte fino a noi? E soprattutto, le aspettative e le richieste del pubblico in che misura influenzavano un autore?
A queste domande risponde il denso saggio di Mario Citroni, da anni specialista indiscusso di questo aspetto della cultura letteraria romana. Muovendosi su un terreno reso difficile dalla scarsità di notizie e documenti, Citroni con grande limpidezza analizza i testi famosi dei grandi poeti della latinità Catullo, Orazio, Ovidio mirando a cogliere nei loro versi le tracce spesso nascoste del dialogo che essi hanno intrattenuto con i lettori loro contemporanei.
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Dettagli

1995
27 aprile 1995
524 p., Rilegato
9788842046530

Voce della critica


recensione di Fo, A., L'Indice 1995, n. 8

Una poesia di Montale o di Baudelaire si trovano più o meno "da sempre" racchiuse in un libro e affidate soprattutto alla lettura silenziosa di un pubblico indeterminato, distante dall'autore. E un canto omerico? Un'ode di Pindaro o di Saffo? Un carme di Catullo? Solitamente si avverte, almeno in modo confuso, che quanto a genesi, fruizione e circolazione, le loro condizioni dovessero essere differenti: ma quali, precisamente?
Il libro di Mario Citroni è frutto di una ricerca ormai quasi ventennale. L'oggetto privilegiato è la poesia, dall'età arcaica a quella augustea, con particolare riferimento a Catullo, Virgilio, Orazio, Tibullo, Properzio e Ovidio. Non mancano tuttavia n‚ un quadro d'insieme sulle condizioni generali della vita letteraria, n‚ specifici riferimenti a generi letterari diversi da quelli praticati da questi grandi classici (ad esempio il teatro o l'oratoria). E così pure, in questa sorta di ri-scrittura della storia letteraria latina dal peculiare punto di vista dei rapporti fra autore e pubblico, trovano rapido ma adeguato rilievo anche personalità rimaste escluse da quella rosa di eletti, come Ennio, Lucilio, Cicerone o Lucrezio. Resta il rimpianto che all'età imperiale siano dedicate solo rapide aperture.
Il lettore non specialista potrà in un primo momento sentirsi attratto soprattutto dalla ricostruzione d'insieme. Dopo la letteratura nazionale d'età arcaica, rappresentata dai grandi generi del teatro e dell'epos, tra fine II e inizio I secolo a.C. si tende a una letteratura per pochi. Il processo culmina con la rivoluzione di Catullo e dei 'poetae novi', segnata dall'"esaltazione, impetuosa e provocatoria, dei diritti del mondo individuale a trovar riconoscimento e spazio autonomo nella letteratura" e dalla scommessa di "prospettare, per una poesia che pure aspira all'eccellenza e all'immortalità, uno spazio di destinazione privato".
Poi di nuovo ecco un allargamento dell'ambito di destinazione, con i grandi poeti augustei che, pur muovendo per vari aspetti dall'esperienza neoterica, tornano a guardare ai problemi della comunità. Lavorando nell'ambiziosa prospettiva di coinvolgere un pubblico generale presente e futuro, essi propongono un rinnovamento radicale dell'intero canone dei "classici" e rifondano da capo una letteratura d'interesse nazionale. Con Virgilio bucolico e Orazio, la destinazione generale viene ancora raggiunta attraverso la mediazione di un importante dedicatario-destinatario privato. Con Ovidio si completerà invece il processo, già rilevante nell'ultimo Properzio, di abolizione di questo intermediario: nella sua produzione d'amore per la prima volta è il pubblico generico e sconosciuto della poesia a divenire il destinatario privilegiato, l'interlocutore diretto, amichevole e affezionato, dell'artista. Il dolore poi, nella produzione dell'esilio, confermerà quanto solido fosse il rapporto di Ovidio col "suo" pubblico, e istituzionalizzerà nella letteratura europea un gesto a noi oggi familiare: l'appello al lettore.
Ma tu, lettore che davvero ami la poesia e i libri, non potrai fare a meno di gradire il nuovo sapore assunto via via - nelle pagine di studio analitico - da poesie che, forse lise dall'ovvio della prassi scolastica, ti appariranno come restaurate, ora che sono a fuoco sul loro autentico sfondo. È soprattutto il caso di Catullo. Gli amici, i nemici, la stessa Lesbia, i carmi sul dolore da lei provato per la morte del passero: tutto si anima di vita e colore, se si riflette che questi componimenti furono poesia di cerchia. Gli amici e Lesbia ne furono cioè i primi, iniziati destinatari: questa poesia intendeva ora festeggiare ora additare allo sprezzo i piccoli eventi e personaggi della vita comune, indifferente all'istanza di offrire al lettore esterno tutti i ragguagli per la piena comprensione, e insieme volta a eternare tutto, levando al cielo con versi giocosi. (Catullo 6, 17).
Il libro è un prezioso strumento per la comprensione dei poeti classici, grazie anche alla ricchezza degli indici e delle note, mentre è un peccato che manchi una bibliografia generale separata. Particolarmente rilevante è la finezza con cui l'autore si muove fra le complesse questioni metodologiche riguardanti il problema di fondo: cogliere davvero, e quasi unicamente sulla base dei testi, il delicato, evanescente rapporto fra poeta, destinatario privilegiato, pubblico distante.
In quest'ambito, una famosa questione specifica è quella dell'amichevole ingiunzione di singoli personaggi eminenti, ricordata da Virgilio in calce a varie ecloghe e alle "Georgiche: iussa" di Pollione, 'non iniussa' collegati con Varo, carmi innegabili a Gallo, irrealizzabili senza Mecenate e i suoi 'haud mollia iussa'. Si è spesso discusso sulle effettive circostanze, la natura e i limiti di queste sollecitazioni. Secondo me siamo di fronte a un preciso sistema, che potremmo definire "il presunto invito", individuato da Virgilio per affrontare il passo della dedica in modo elegante, personale ed efficace a un tempo. Profilando il carme come risposta a un impulso germogliato all'interno di una nobile amicizia letteraria, Virgilio coinvolge il destinatario privilegiato più a fondo, nella genesi stessa dell'opera. Il dedicatario non si limita a "figurare" nella composizione, ma ne viene "attratto" direttamente al cuore e vi si fissa in contiguità con l'autore, in una cooperazione assai stretta, e direi ineliminabile, dislocata alle radici stesse di questo suo spicchio di mondo.

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