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Paesaggi, persone, ricordi e sentimenti evocati in queste poesie molto belle che profumano di antico. Si tratta di una silloge molto curata.
pessimo, ridicolo, da buttare...
Recensioni
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Oltre che autrice di poesie, Gabriella Sica è studiosa di letteratura italiana contemporanea (ha realizzato per la Rai alcuni video su grandi poeti del nostro Novecento, tre dei quali da poco usciti presso Einaudi) e critico militante: tanto che il risguardo della sua nuova silloge di liriche, Poesie familiari, definisce la sua recente raccolta di interventi e saggi Sia dato credito all'invisibile (Marsilio, 2000) come "controcanto in prosa" di questi spaccati che aggettano, in diacronia, sulla rosa degli affetti. La terra d'origine (Viterbo e le sue campagne), le case in cui si è vissuto con i propri familiari, gli ambienti dell'esistenza feriale e poi delle vacanze (Le Portercolesi), le singole minime avventure umane che si sono accompagnate negli anni a quella della "voce recitante" costituiscono il piccolo teatro animato da questa collana di ricordi e improvvisi. La "storia del mondo" vi si distende tra la figura del padre scomparso, figura fasciata di tempi e di tradizione, e quella, carica di future promesse, dei propri figli. Il libro, dalla sobria ed elegante confezione tipografica, fin dal titolo si ispira programmaticamente alla semplicità. Sempre diretto e trasparente è il linguaggio. La stessa elaborazione metrica è talora disadorna: la piena cantabilità cede qua e là a ritmi perfino disarmonici nelle pausature, e ricorrono tecniche che rischiano, almeno a mio vedere, di sconfinare in un eccesso di naïveté (penso all'alta frequenza di rime grammaticali, spesso perseguite con violenti iperbati a rigettare il verbo a fine frase). Queste asperità non polite, ed evidentemente intenzionali (la Sica è autrice anche di un manuale Scrivere in versi. Metrica e poesia, 1996), evocano esse stesse l'immagine dei modesti oggetti rurali, degli arredi d'arte povera che accompagnarono con calore la rievocata intimità degli ambienti, come La madia ("Ah potessi con le mie mani fare / buone le persone come il pane!"), aprendosi qua e là in melodie o felici macchie di colore ("i miei dispersi versi sono viti"; "e gli uccelli al cielo azzurro affrescati"; "e pulcini gialli come ai bei giorni"). Il bilancio sembra far prevalere stupore e felicità di esistere, ma vulnera il centro della raccolta la dolente sezione È solo un uomo ed è un marito. Forse, di là da abbandoni e incomprensioni, "verrà un giorno da questo diverso, / quando nessuno sarà separato / da chi ama".
Alessandro Fo
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