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L’imminente ricorrenza del centenario della morte di Giosuè Carducci è una buona occasione per rivisitare la figura e l’opera del suo prediletto allievo Severino Ferrari (1856-1905), sottraendolo ai luoghi comuni che ancora gravano su di lui (fedele epigono carducciano; umbratile precursore, presto superato e dimenticato, di Giovanni Pascoli) e insistendo sugli ancora vitali elementi di novità riscontrabili tanto nella sua produzione poetica quanto – soprattutto – nella sua intensa attività critica e filologica. La prima è qui indagata nei suoi stretti e fecondi nessi con la seconda; e della seconda sono lumeggiate le forti implicazioni pedagogiche (evidenti nelle numerose ed esemplari edizioni e antologie destinate alle scuole) ed indagati gli originali orientamenti metodologici (bilicati tra il sempre vivo magistero del Carducci e la non trascurabile influenza della scuola storica). Il tutto nell’intento di disegnare il compiuto ritratto di un critico-poeta tra i maggiori del nostro secondo Ottocento.
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