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recensione di D'Elia, G., L'Indice 1995, n. 5
Il ritratto che esce da questa antologia di versi e prose di Giovanni Giudici, "Un poeta del Golfo", è quello di un autore che ha coscienza della radicalità dello sguardo poetico, e della sua sostanziale unità. Per questo, si passa dalle poesie ai racconti, dalle prose critiche e d'occasione alle versioni da altri poeti (ancora una volta, dopo anni, appare insuperata la traduzione in rima dell'"Onegin* di Puskin), sorpresi di ritrovare ovunque la stessa impronta, sia pure stampata in diversi generi, la stessa fisionomia. E così si leggono anche le molte vere fotografie del poeta negli anni, ironico controcanto narcisistico.
Radicalità e unità, di fronte alle quali ci si confessa mancanti, in debito, in affanno, calati come si è in mezzo alla vita di tutti. Ed ecco il tema della poesia di Giudici: l'esame della propria anima nativa, ligure, poi metropolitana, buttata nell'ingranaggio dove domina la servitù e la paura della vita amministrata. Il legame col Golfo della Spezia e con i luoghi della nascita e del ritorno è un sottile vivaio di fili familiari e popolari, di presenze parentali e di amici scrittori, tenuto in posto da una continua autocoscienza della caducità cristiana e della mancanza. Poeta della colpa, sì, come e dopo Saba, con un proprio canzoniere ormai memorabile nell'abbassamento autobiografico e cronachistico, nelle forme metriche di una tradizione rinnovata dall'ironia del contrasto e del falsetto, Giudici ci conduce dalle marce basse e verticali delle liriche all'espressionismo parlato dei racconti, in cui si saggia il discorso libero indiretto joyciano sulle proiezioni immaginarie e turistico-kafkiane-gaddiane di "Frau Doktor", immettendoci poi nelle marce alte e da crociera della sua prosa critica.
E si tratta di riflessioni sul fare poetico di rara forza e concretezza. La gestione ironica, come la chiama Giudici; è un atteggiamento empirico dove non conta l'intenzione ma il risultato, un affidarsi del progetto al caso. La storicità della lingua vi è implicata, così che la storia e il testo si parlano attraverso un autore che "regredisce" a uomo comune, negando ogni preteso privilegio della lirica. Un'altra chiave di Giudici è l'attraversamento della vicenda ideologica, subordinando alla cultura la poesia, di cui viene difesa la prassi d'incontro sensibile, avanzando una corrispondenza con la politica. Discorso del bene civile e fare civile, di cui si certifica un legame. "Severo di un'Idea", come nell'inedito per Silvio Guarnieri.
E la poesia è questa tensione politica e formale, mai disgiunta, che parla nella lettera postuma a Ernesto Balducci, uno dei testi sparsi più intensi di questa raccolta "E infine voglio ricordarti di quando parlavi e scrivevi del mondo della penuria che presenta oggi al mondo dell'opulenza il conto dell'ingiustizia secolare".
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