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Anno edizione: 2014
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Con la consueta ricchezza argomentativa, l’ampia base documentale e il rigore scientifico, che caratterizzano da sempre lo stile di Rosario Villari, il testo approfondisce numerosi aspetti della crisi del 600. Vengono analizzati nei dettagli e con acume gli aspetti critici della politica barocca durante il turbolento periodo delle rivolte europee che accompagnano il declino dello stato feudale. Interessanti le riflessioni sociali sul brigantaggio di fine cinquecento, il focus sull’arte della prudenza e della dissimulazione nei rapporti politici dell’epoca. Consigliato a chi già conosce nel dettaglio la storia di quegli anni (attraverso sopratutto i saggi di Villari) e vuole approfondire gli aspetti storiografici, la filosofia e la prassi politica del tempo.
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Raccolta di lavori editi fra il 1971 e il 2003 e volutamente lasciati intatti, il volume offre il resoconto di un percorso di studio trentennale. Emergono qui i nuclei problematici intorno a cui si è concentrato nel tempo l'interesse di Rosario Villari, autore di opere come La rivolta antispagnola a Napoli (Laterza, 1967), Elogio della dissimulazione (Laterza, 1987), Per il re o per la patria (Laterza, 1994). La politica barocca è indagata con attenzione all'Italia e all'Europa attraverso i tre concetti chiave espressi nel sottotitolo, che riprende le parole in uso tra la fine Cinquecento e la metà del Seicento (questo il periodo considerato) per indicare rispettivamente le proteste sociali, la rivoluzione e l'arte del governo. Il libro è strutturato in quattro parti, che rinviano a quattro problematiche fondamentali affrontate in saggi e discussioni di libri, alla ricerca fra storia e storiografia del "contrastato avvio di nuovi fermenti ideali e politici nello Stato assolutistico e nella società di sudditi e di vassalli".
Filo conduttore della prima parte, Ragion di Stato e ragioni dei sudditi, è la tesi secondo cui l'Italia spagnola non fu affatto caratterizzata da quella passività elevata da altri storici a emblema dell'epoca. Lo provano, in mezzo a zone di conformismo, movimenti e persone (da Torquato Accetto a Traiano Boccalini) che mirarono a riformare le istituzioni e ad ampliare la partecipazione politica in funzione antiassolutistica e che non mancarono di esprimere un patriottismo inteso come senso di solidarietà verso la comunità e attenzione al bene comune. E ciò in una fase di pesante repressione politico-culturale, in cui all'esaltazione dell'assolutismo si affiancavano la demonizzazione del ribelle e il disprezzo verso la plebe. Tutt'altro che immobile, l'età barocca fu del resto attraversata da mutamenti significativi, come mostrano la "crisi del Seicento" (un saggio qui riedito, che risale al 1971, ne riporta il dibattito degli anni sessanta) e l'esistenza di rivolte, di cui Villari rifiuta modelli esplicativi generali, cari alla sociologia, per insistere sull'unicità dei singoli processi.
Con la seconda parte, Politica e non: le inquietudini, la tematica della resistenza all'oppressione viene approfondita portando in primo piano le figure del "ribelle" e del "bandito sociale". Benché la condanna della ribellione fosse un tratto tipico del tempo, fu proprio allora che venne elaborata la teoria della sua legittimità, dalle Vindiciae contra tyrannos (1579) del protestante Hubert Languet, all'opera De rege et regis institutione (1599) del gesuita Juan de Mariana. Sul versante dell'azione l'autore segue il fenomeno del banditismo mostrandone la varietà e collegandolo a diversi fattori, quali il venir meno della stabilità nei rapporti sociali e produttivi nelle campagne e le difficoltà tra chiesa e popolo. Un'analisi puntuale spetta alla rivolta di Masaniello, rispetto alla quale Villari discute criticamente un saggio che sulla rivoluzione napoletana del 1647 scrisse Peter Burke nel 1983, Past and Present.
La terza parte, Il mutamento di Stato: esperienze e tentativi, offre ancora una riflessione sulle resistenze. L'attenzione si concentra sulle rivoluzioni, variamente ispirate alla vittoriosa rivolta dei Paesi Bassi, che segnarono le periferie dell'impero spagnolo negli anni quaranta del Seicento, in Catalogna, in Portogallo, in Sicilia e nel regno di Napoli. Di queste lo storico individua in modo comparativo i fattori comuni e le peculiarità per tornare sulla rivoluzione napoletana del 1647 e sulla sua influenza nella zona al confine tra la Basilicata e la provincia di Salerno, nel feudo dei Caracciolo di Brienza. Non manca poi un'incursione nell'arte napoletana secentesca, a riprova che anche Napoli ebbe il suo siglo de oro.
Nell'ultima parte, Arte della prudenza: l'assolutismo nel guado, si trova un bilancio, offerto nel 1979, sul significato della dominazione spagnola rispetto alla formazione di una coscienza politica unitaria in Italia. Banditi i giudizi genericamente negativi espressi contro la "monarchia straniera", si sottolinea la volontà del corpo sociale di confrontarsi con i problemi posti dalla situazione politica contemporanea. Si indagano, tra l'altro, attraverso le istruzioni regie ai viceré, le relazioni fra centro e periferia; si guarda quindi alla storia spagnola del Seicento nell'ottica dell'antagonismo con la Francia mediante una lettura critica del libro di John H. Elliott su Richelieu e Olivares (1984) e si chiude con l'invito a considerare la duplice repressione, religiosa e politica, che rese difficile sottrarsi al conformismo nell'Italia barocca. Difficile, ma non impossibile: questo il messaggio di Villari, che anche così riporta la penisola italiana nell'ambito del processo di formazione dell'Europa moderna, evidenziandone il contributo non marginale.
Patrizia Delpiano
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