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Il potere dei giudici. Stato democratico e controllo della virtù - Alessandro Pizzorno - copertina
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Il potere dei giudici. Stato democratico e controllo della virtù
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«Mani pulite» come episodio di una storia non solo italiana che cambia la natura dello Stato moderno.
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Dettagli

2
1998
15 maggio 1998
132 p.
9788842055075

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alberto pierobon
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Per l'A. le cause dell'espansione del potere giudiziario sono endogene, al formarsi di condizioni nuove generanti una molteplicità di situazioni prive di copertura normativa e/o di stallo decisionale: ecco l'intervento del potere giudiziario., anche perchè il giudice oggi coopera allo sviluppo del sistema normativo. Il tutto nello sfondo del consenso nell'ordinamento dello Stato.In un parlamento che si riduce, si giunge a fare micropolitica e proporre una microlegislazione, che implicano continui negoziati e scambi, la c.d. horse trading statunitense: siamo arrivati al microconsociativismo. Anche perchè la politica è diventata carrieristica e interessata del singolo, infittendosi peraltro l'intreccio affari-politica, donde l'assunzione di quello che l'A. chiama "controllo di virtù" del potere giudiziario. La magistratura italiana "è particolare" soprattutto perchè in tre occasioni ha preso in carico situazioni di emergenza che le istituzioni non erano in grado di normalizzare: il terrorismo, la mafia e il sistema di corruzione. Servono quindi forme di controllo della virtù politica necessitato anche dalla fine della "politica programmante", tanto che - tra altro - emergono nuovi istituti (es. le autorità indipendenti), inoltre serve un diverso ruolo della sfera pubblica, di chi influenza le decisioni della classe politica, anche perchè "l'intreccio tra sfera pubblica e istituzioni (..) non si modifica con misure di ingegneria costituzionale".

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recensione di Gliozzi, E., L'Indice 1998, n.10

Un personaggio come il procuratore Starr, sostenuto dai media americani, dovrebbe far riflettere su un certo giustizialismo che vede oggi nella magistratura l'unico baluardo indipendente capace di controllare la virtù dei politici. La vicenda americana mostra a quali pretese un magistrato iniquo e un circuito mediatico in cerca di scandali possano giungere in nome della virtù nazionale che imporrebbe di dire sempre la verità, e come poteri inquisitori illimitati affidati a un magistrato indipendente possano facilmente essere usati in modo del tutto partigiano per distruggere un avversario politico. Sembra poi lecito dubitare che dire la verità sulle proprie prestazioni sessuali - o credere nelle capacità terapeutiche della somatostatina - siano davvero virtù per un politico come per un comune cittadino, anche se, narrano le cronache, magistrati sorretti da un consenso pubblico se ne sono dimostrati convinti.
Dubbi di questo genere non sfiorano però il saggio di Pizzorno, tutto dedicato invece a convincere che il controllo della virtù dei politici da parte di magistrati sostenuti da un'opinione pubblica costruita dai media è una tendenza storica inarrestabile e, a quanto pare, provvidenziale rimedio allo scadimento della politica nei regimi rappresentativi. Secondo Pizzorno, ovunque il potere giudiziario si sarebbe esteso, con il passaggio dallo Stato parlamentare classico allo Stato sociale. Ovunque poi i regimi rappresentativi subirebbero oggi una profonda trasformazione i cui tratti salienti sarebbero che le decisioni dei governi, in gran parte vincolate da vicende economiche che essi non possono controllare, sono tecnicamente elaborate in modo tale da essere difficilmente valutabili dalla larga maggioranza dell'elettorato, sì che le scelte politiche degli elettori sempre più si fonderebbero su informazioni che non riguardano le capacità tecnico-politiche dei candidati o il merito dei loro programmi, ma le loro qualità morali (quali "l'onestà, la normalità sessuale o altre virtù esemplari"); nello stesso tempo, la fine delle grandi alternative programmatiche renderebbe più fitto l'intreccio affari-politica e quindi l'esposizione alla corruzione tanto dei partiti di maggioranza, quanto di quelli di opposizione, che troverebbero più conveniente negoziare con la maggioranza piuttosto che denunciare le malefatte. Di qui la pressione sociale perché sia il potere giudiziario a intervenire per controllare quelle qualità morali dei politici che, secondo Pizzorno, sarebbero al centro degli interessi della popolazione.
Nei regimi rappresentavi così trasformati, un ruolo determinante sarebbe oggi giocato dalla sfera dell'opinione pubblica costruita dai media. Incapaci di cogliere il significato reale delle decisioni dei governi, i cittadini cercherebbero invece simboli nei quali identificarsi; ma costruire simboli adatti al livello dei più sarebbe appunto la funzione tipica dei media, in quanto distribuiscono riconoscimenti pubblici a politici, magistrati, imprenditori, professori, campioni sportivi, attori e così via non già secondo i meriti che costoro hanno nelle loro specifiche competenze tecniche (meriti che i più non coglierebbero), ma secondo i loro "meriti di media", per la loro capacità di funzionare come personaggi pubblici. Dunque, conclude Pizzorno, non ci si deve stupire o scandalizzare se i magistrati cercano nei media un riconoscimento come personaggi pubblici: così facendo essi dimostrano soltanto di aver compreso qual è oggi la nuova fonte di legittimazione del loro potere.
L'impressione che si ricava da queste tesi apocalittiche, volte a giustificare una sorta di dittatura mediatico-giudiziaria, è che si basino su astratti teoremi più che su una ricognizione della realtà. È ad esempio soltanto un teorema, già enunciato da altri, quello secondo il quale il potere giudiziario si sarebbe esteso specie nel corso di quest'ultimo secolo. Peccato che il dato principale che, anche da Pizzorno, viene portato a dimostrazione del teorema provi l'opposto di quanto dovrebbe dimostrare. Si dice infatti che l'aumentato ricorso alla magistratura per la composizione di conflitti avrebbe esteso il potere dei giudici: invece, l'aumentato ricorso ai tribunali ha posto drammaticamente in luce, non solo in Italia, l'"impotenza" della magistratura a soddisfare in modo accettabile la domanda sociale di giustizia. Questa impotenza è innanzitutto all'origine di un fenomeno rilevante, non considerato da Pizzorno, qual è la fuga dalla giustizia verso altre forme (anche illegali) di soluzione dei conflitti. Ma è all'origine anche di altre cose, quale la vocazione di molti magistrati a trasformare l'adempimento dei loro gravosi doveri istituzionali in occasioni per tentare la più gradevole carriera di personaggi pubblici. E poiché solo i personaggi pubblici del mondo simbolico dei media fanno oggi opinione, si spiega anche la tendenza di molti commentatori a scambiare l'immagine del potere giudiziario che costoro tendono ad accreditare con il potere giudiziario reale.

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Conosci l'autore

Alessandro Pizzorno

1924, Trieste

Alessandro Pizzorno (Trieste, 1924) è stato professore di Teoria sociale all'Istituto Universitario Europeo di Fiesole. È stato anche Fellow del Nuffield College di Oxford, direttore del dipartimento di Sociologia dell'Università Statale di Milano e infine professore di Sociologia a Harvard. Autore di numerosi studi sulla sociologia politica, la sociologia urbana e la sociologia del lavoro, si è interessato di teoria dell'azione, delle scelte razionali e delle identità collettive e di teoria della democrazia. Tra le sue principali pubblicazioni: Le classi sociali (Il Mulino, 1959), Comunità e razionalizzazione (Einaudi, 1960), I soggetti del pluralismo: classi, partiti, sindacati (Einaudi, 1960), Le radici della politica assoluta (Feltrinelli, 1993)...

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