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Il libro è il ritratto di una personalità politica di grande statura intellettuale, anche se oggi dimenticata, anticipatrice della teoria delle élites di Pareto e Mosca. Pensatore reazionario, sostenitore dell'inferiorità razziale dei neri e dello schiavismo, Calhoun fu tuttavia un acuto critico del capitalismo industriale e un fine analista dei rischi dei regimi democratici. L'autore ne delinea in questa monografia un ritratto magistrale.
Recensioni
recensione di Zincone, G., L'Indice 1997, n. 8
"Io ho visto il monumento a Calhoun. Quello che tu hai visto non è il vero monumento. Ma io l'ho visto. È il Sud desolato, rovinato; quasi l'intera generazione di giovani tra i diciassette e i trent'anni distrutta o storpiata, tutte le vecchie famiglie finite; i ricchi impoveriti; le piantagioni coperte di erbacce; gli schiavi liberati e divenuti i padroni, e il nome sudista coperto di vergogna: tutto ciò è il vero munumento a Calhoun". Così Walt Whitman fa parlare un soldato sudista in risposta a un commilitone, il quale gli aveva raccontato di aver visto il monumento che lo Stato del South Carolina aveva dedicato al suo più determinato difensore.
Massimo Salvadori - nel suo libro su Calhoun - cita questo pezzo come un giudizio tutto sommato condivisibile.L'opera politica dello statista del Sud sarebbe fin troppo inferiore alla sua opera di studioso. Ma si può davvero giudicare quella di Calhoun come una carriera politica segnata dall'insuccesso? A livello personale si tratta di un insuccesso piuttosto relativo, che va in effetti tarato su una cospicua ambizione, quella di diventare presidente degli Stati Uniti. Gli riuscì, comunque, di arrivare alla vicepresidenza due volte e con due storici antagonisti: i presidenti Adams e Jackson. Ma il soldato di Whitman raccontava e addebitava a Calhoun un disastro ben più drammatico: l'aver condotto gli Stati del Sud alla sconfitta e alla rovina. Insuccesso politico personale e contributo al disastro collettivo del Sud hanno in Calhoun la stessa radice: la consapevolezza che il compromesso raggiunge un punto di rottura e l'ambizione una stazione d'arresto là dove si devono non solo adattare, ma subordinare le proprie convinzioni alle altrui. Per sé, come per gli Stati del Sud egli pretendeva ampi margini di autodeterminazione.
Salvadori differenzia pacatamente il giudizio: da una parte descrive l'individuo sprezzante, l'ambizioso politico, dall'altra segnala lo studioso attento, il grande precursore della scienza politica moderna; qui vede il nemico delle oligarchie, il democratico, il tutore delle autonomie locali, lì il convinto difensore dell'istituto della schiavitù. Tuttavia, l'intero libro di Salvadori ci trasmette l'immagine di un io indiviso, di uno straordinario inestricabile intreccio di passioni personali e civili, di lucidità, di disincanto, di legami tradizionali e valori non negoziabili. Il fascino di questo volume colto e sobrio, eppure catturato dal personaggio che studia, sta nella capacità di renderci un Calhoun compatto, intricato e indivisibile. Questo vale per la sua attività politica e per quella di analisi, e vale per le varie parti di queste due attività.
Norberto Bobbio ritiene che il libro di Salvadori su Calhoun ci costringa a rivedere la storia della scienza politica, ad anticipare la datazione di inizio di alcune scuole di pensiero e a riconoscere la primogenitura americana di importanti modelli di analisi. Calhoun precorre gli elitisti Pareto e Mosca quando individua la costante divisione tra governanti e governati, ma anticipa anche Bryce e l'elitista Michels quando osserva i rischi legati al consolidamento delle élite politiche attraverso la costruzione di macchine di partito. Insieme con Webster e Clay, e prima di Marx, rileva i rischi di cesarismo che possono derivare da una presidenza plebiscitaria, da una monarchia eletta a suffragio popolare e dotata di estese competenze. Prima di Tocqueville, comprende i pericoli di una "tirannide della maggioranza".E soprattutto, come osserva Salvadori, secondo Calhoun tutti questi rischi - cesarismo, tirannide delle élite e della macchina di partito, tirannide della pubblica opinione maggioritaria - non si presentano disgiunti, non è possibile perciò combinarli e bilanciarli (come auspicava, ad esempio, Weber); essi tendono piuttosto a cumularsi in un potere incontrollato: una pubblica opinione, manipolata da macchine di partito composte da uomini avidi e servili, poste al servizio di un monarca-presidente.È fin troppo evidente l'applicabilità di queste riflessioni all'evoluzione in corso nel sistema politico italiano; ma la capacità di pensare in anticipo e di prevedere di Calhoun colpisce ancora di più su altri punti.
Va al di là di Marx quando intuisce le devastanti conseguenze di un accumulo tra lo specifico potere politico proprio dello Stato moderno (burocraticamente organizzato e santificato dal suffragio), da una parte, e il potere economico capitalista, dall'altra. Anticipa Marx nel denunciare il carattere fittizio della libertà attribuita al lavoro salariato: "Se lo schiavo non è mai stato un uomo libero, noi pensiamo che, come regola generale, le sue sofferenze siano minori di quelle del libero lavoratore salariato. Circa la libertà di fatto, entrambi si trovano nello stesso livello. Il lavoratore salariato ha tutti gli svantaggi e nessuno dei suoi benefici, laddove lo schiavo, mentre gli negano i benefici, non ne ha gli svantaggi.Noi non siamo avvocati della schiavitù [ma] (...) consideriamo il sistema schiavistico come decisamente preferibile al sistema salariale". La sua posizione rispetto alla schiavitù mostra come Calhoun sia contemporaneamente moderno e premoderno. Paradossalmente la parte più "spendibile" del pensiero di Calhoun nell'analisi politica e nel dibattito pubblico contemporaneo è proprio quella che ha perso storicamente, nel processo di costruzione istituzionale e nella competizione tra valori pubblici: la difesa della "peculiare istituzione" della schiavitù e la richiesta di garanzie costituzionali estreme per l'autonomia degli Stati di fronte al governo federale presentano argomenti e soluzioni istituzionali simili a quelle di cui oggi più si discute.
Le due richieste sulla "peculiare istituzione" e sull'autonomia per gli Stati del Sud sono - secondo me - della stessa specie, hanno le stesse radici: il principio che una comunità debba poter vivere secondo regole e principi propri (adottando, ad esempio, la schiavitù) è tutelato da norme costituzionali che proteggono quella comunità dai tentativi della maggioranza di uniformare il diritto e quindi i modi di vita su tutto il territorio nazionale. Burocrazie di partito, manipolazione dell'opinione pubblica, tecniche plebiscitarie sono tutti aspetti di un processo di standardizzazione autoritaria verticale, cioè dall'élite organizzata sulle masse, e orizzontale, cioè dalle maggioranze sulle minoranze, dai centri sulle periferie, da un gruppo egemone di Stati sugli altri. La rivendicazione di Calhoun a favore della possibilità per i nuovi Stati americani di optare per la "peculiare istituzione" dello schiavismo non è diversa dalla richiesta avanzata oggi dalle minoranze degli autoctoni indiani in Canada o dalle minoranze islamiche in India di mantenere i propri "statuti famigliari", cioè un diritto di famiglia che conferma una decisa subordinazione femminile: né gli schiavi americani, né le donne nella versione indiana della "sharia" erano e sono privi di qualunque diritto, ma non sono propriamente individui, né cittadini completi in termini giuridici. È proprio alla neutralità degli individui che Calhoun non crede: non pensa che si possano mischiare tutti i gruppi e tutte le persone nello stesso calderone della rappresentanza democratica, come se fossero equivalenti, intercambiabili.
Questo principio della "irriducibilità" della diversità avvicina Calhoun a un altro importante filone comunitario contemporaneo, quello del femminismo della differenza. La rivendicazione di rappresentanza "sessuata", cioè di una quota di posti riservati alle donne in tutti gli organismi, in modo che la diversità femminile possa essere ovunque presente ha gli stessi fondamenti logici ed etici della richiesta di "concurrent majority" mossa da Calhoun. Egli chiedeva una "maggioranza composita" formata da due componenti coesistenti, una costituita dalla rappresentanza degli Stati del Nord e una costituita da quella degli Stati del Sud; arrivava persino a proporre un presidente degli Stati Uniti per ciascuna componente, con un'equa ripartizione delle competenze. Le sue pretese appaiono - se confrontate con istituzioni contemporanee - tutt'altro che assurde. Il potere decisionale che l'Unione europea, anche dopo l'Atto unico e il trattato di Maastricht, assegna al Consiglio dei ministri è ancora cruciale. In esso tutti gli Stati membri hanno un rappresentante ciascuno (anche se i voti dei singoli Stati hanno peso diverso); per gran parte dei settori si deve decidere all'unanimità; e anche per alcune materie in cui è consentito il voto a maggioranza qualificata (almeno 10 Stati e almeno 62 voti) si riscontra di fatto una bassissima presenza di voti contrari o di astensioni. Questa procedura consensuale è destinata a cambiare con l'allargamento dell'Unione, ma non sappiamo quando né quanto.
Allo stesso modo il principio di "nullificazione", e cioè la pretesa di Calhoun che uno Stato possa rifiutare l'applicazione di leggi federali ritenute fortemente nocive, ricorda il diritto di veto e la possibilità di "opting out" che possono esercitare gli Stati membri dell'Unione nei confronti di decisioni comunitarie sgradite.
Calhoun, dunque, proietta a livello collettivo e territoriale quei diritti che i libertari avevano già pensato per gli individui: la resistenza al sopruso che può arrivare fino al tirannicidio, la disobbedienza civile che si manifesta nel rifiuto di osservare la legge. In un momento in cui i diritti degli individui vengono sfidati dai "grouprights", cioè dai diritti delle comunità, quando si mette in questione il principio di "indifferenza del diritto" e si richiede alle leggi di plasmarsi sulle tradizioni e le specificità delle minoranze, il pensiero e le soluzioni istituzionali di Calhoun appaiono incredibilmente attuali, postmoderni perché in buona misura premoderni.
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