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Un inciampo per lo sguardo, un pozzo di tenebra, a ricordarci la debolezza e la caducità della vita umana.
Un doppio ritratto, un affascinante enigma: i due ambasciatori, protagonisti di questo quadro, ci fissano con sguardo pensoso, diretto e al tempo stesso interiore. Ci affascina l'inquietante e indefinibile aria di mistero dei loro occhi seri, gravi, assorti in qualche segreto pensiero. Questo dipinto di Hans Holbein il Giovane mette in scena un'ossessione particolarmente forte nella corte scintillante di Enrico VIII, quella del potere e del comando, rivelandone il lato più oscuro. Cos'è quell'oggetto-macchia, lì in basso, che ingombra la scena? Un inciampo per lo sguardo, un pozzo di tenebra, a ricordarci la debolezza e la caducità della vita umana.Indice
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L'autrice (bravissima) ci racconta il dipinto "Gli ambasciatori" (1533) di Hans Holbein, quello del "Ritratto di Enrico VIII" e del "Cristo morto" del 1521.. Osservando il quadro si nota nella parte inferiore un "oggetto oblungo e livido, dipinto in anamorfosi". Questa figura, che deturpa il dipinto, se la si guarda da una prospettiva laterale appare come un teschio. Questo rappresenta la morte, "la nostra propria morte che non si può "guardarla in faccia. Ma solo di sguincio. In tralice." La morte sta lì "tra i piedi dei due signori, insidiando la pienezza della loro lussuriosa prestanza fisica. E prima o poi anche a noi farà lo sgambetto. Perché 'passa la scena di questo mondo' " L'autrice nel raccontare il quadro fa un parallelo con il teatro di Shakespeare. Un'ottima lettura ricca di tante "cose".
L’autrice, celebre e stimata anglista, nel riflettere sul “silenzioso colloquio tra l’immanente e il trascendente”, ritiene che l’intera rappresentazione, nella sua solennità, abbia un evidente significato allegorico, raffigurando il prestigio e l’influenza del potere mondano messo in discussione da un richiamo a ciò che lo supera, lo disorienta e lo annulla. Infatti, osservando con più attenzione il dipinto, e spostandosi di lato, scorge alla sua base “una forma confusa… di colore vitreo, grigio, bianco e avorio mescolati insieme”. È un teschio, inserito a bell’apposta da Hans Holbein come memento del transeunte, “per affermare una irrefutabile verità; per testimoniare, cioè, che ‘passa la scena del mondo’”. Quel particolare, il cranio scarnificato, si manifesta come “un difetto, un errore, uno sgorbio”, un campanello d’allarme che disarma e fa vacillare l’imponente pomposità dei due autorevoli funzionari, suggerendone l’inconsistente vanità esistenziale, e trascinando “ogni significato nel verso del lutto”. Nadia Fusini legge i segreti del quadro in controcanto con la fondamentale domanda amletica sulla natura dell’umano: “What’s a man? … What a piece of work is man! How like an angel… Quintessence of dust!”. Holbein e Shakespeare patiscono la stessa profonda fascinazione per l’immodificabile e crudele transitorietà del tempo: un tempo che nella loro epoca appare scardinato, disarmonico, “out of joint”. Uguale è nel quadro e nella tragedia di Amleto la sconfessione della vita, il trionfo del nulla sull’illusione del potere, “il segreto abisso che regge la rappresentazione dell’uomo e del mondo”. Utilizzando le lenti interpretative fornite da Freud, Lacan, Barthes e Benjamin, Nadia Fusini nell’esplorare i segreti di un quadro esplora anche sé stessa, il suo “essere insieme soggetto e oggetto di visione”, sguardo che nel percepire l’altro da sé si percepisce.
una piacevole lettura su un quadro tra i più enigmatici della storia dell'arte.
Recensioni
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