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L’insolita relazione fra estetica e povertà è al centro della ricerca presentata in questo volume. In tale inconsueta prospettiva, usando interviste, osservazioni etnografiche, foto, le autrici hanno esplorato il ruolo svolto da certi oggetti «belli» nella vita quotidiana di un gruppo di persone che vivono in condizioni di indigenza. La coppia «estetica e povertà», apparentemente provocatoria, è in realtà meno eccentrica di quanto appaia a prima vista, a condizione però di ridefinire i due termini della questione. La prima ridefinizione riguarda il termine estetica, da non considerare come una proprietà rara di alcune cose ma come una modalità relazionale, capace di raccontare come certi oggetti ritenuti belli «agiscano», in senso sociale e cognitivo, nella vita delle persone anche in contesti di povertà. L’altro presupposto è di considerare la povertà non come un ambiente uniforme ma come una condizione mobile, costituita di continue negoziazioni fra uno stato di necessità e una – seppur limitata – possibilità di scelta. Intercettando volti e storie negli spazi domestici, il concetto di bello è stato indagato in maniera concreta e immediata, chiedendo alle persone intervistate di mostrare gli oggetti più belli presenti nelle loro case e nei loro armadi. I tanti oggetti mostrati e fotografati e le molte storie ascoltate raccontano di un’estetica pratica che è capace di dare ordine e creatività al mondo quotidiano anche in contesti difficili. Insomma, un’idea di estetica come ambito esistenziale, come spazio fisico e metaforico in cui chiunque – anche chi vive in uno stato di necessità – può comunque esercitare una libertà di scelta.
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