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Anno edizione: 2013
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Fa riflettere. Soprattutto il finale.
Marzo 1945. Un gruppo di persone braccate dai nazifascisti è costretto a fuggire dal convento di San Francesco del Deserto, nella laguna veneziana, dove aveva trovato rifugio. Si tratta di una giovane suora, di un frate, di due anziane sorelle e di due bambini di dieci anni, Pietro e Dario, che dovranno sgusciare tra le mani del nemico prima in mare e poi sulla terraferma, alla ricerca di un luogo sicuro in cui nascondersi in attesa della fine della guerra. La vicenda ci viene raccontata attraverso la voce e lo sguardo onnivoro e per niente ingenuo di Pietro, che dovrà adattare le atrocità cui sarà costretto ad assistere alla sua fanciullesca logica visionaria. Dopo Non tutti i bastardi sono di Vienna, vincitore nel 2011 del premio Campiello, Molesini torna ad affrontare il tema della guerra adottando questa volta il punto di vista originale ma pieno di insidie di un bambino. Il risultato è splendido. La trama, di per sè abbastanza semplice e lineare, viene arricchita dalla voce poetica di Pietro che la gonfia fino a farla esplodere in un'infinità di frammenti luminosi che vanno assaporati attentamente, lentamente. La realtà non è mai così semplice e razionale come appare agli occhi disincantati degi adulti, e anche la tragicità della guerra può essere trasfigurata in una visione del mondo tanto imprevedibile quanto affascinante. Una via di fuga esiste sempre, come ci dovrebbe ricordare il bambino che è in noi se solo riuscissimo ancora ad ascoltare la sua voce.
Insopportabile ed è già un eufemismo. 300 pagine di "birignao" falso-fanciullesco. Una storia che, pur partendo da uno spunto narrativo interessante, non riesce in alcun modo a svilupparne la trama. Infinitamente peggiore della precedente opera di Molesini "Non tutti i bastardi sono di Vienna".
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