Quando ci si inoltra nelle zone meno frequentate della Commedia umana, Balzac iserva sempre qualche sorpresa. Il "grande storico", così definito da Baudelaire e tanto ammirato da Engels, non concentra sempre la sua attenzione sui rivolgimenti epocali della società, sui segreti dei grandi patrimoni e sui retroscena del potere. Condivide invece con i suoi contemporanei il gusto per le physiologie, trattatelli pervasi di sulfurea ironia che descrivono, con simulato distacco scientifico, le figure più caratteristiche della Parigi del tempo: la Signora comme il faut, la ballerina dell'Opéra, il droghiere arricchito, il giornalista compiacente. A questa letteratura, legata al rapido avvicendarsi delle mode, è apparentato Un principe della bohème,che offre al lettore un duplice ritratto: da un lato la physiologie del dandy che non ha altro scopo nella vita se non sfidare, con inaudita impertinenza, il conformismo della borghesia in ascesa; dall'altro la physiologie di una bellezza di facili costumi, la ballerina Tullia, che quando è travolta da una passione violenta ed esclusiva, sa trasformare la propria frivolezza in implacabile determinazione. La bohème cui si riferisce Balzac in questo racconto del 1840 (ora pubblicato con le note di Cecilia Mutti), è quel mondo di artisti e sartine che Murger renderà popolare nel 1851; è l'ambiente dei giovani di talento, ma poveri, che il regime di Luigi Filippo, liberale a parole, censitario e gerontocratico nei fatti, esclude dalla politica e dalla cultura ufficiale. "Nella bohème scrive Balzac ci sono diplomatici capaci di sovvertire i progetti della Russia, se solo si sentissero appoggiati dalla Francia (
). Ogni genere di capacità, d'intelligenza vi è rappresentato: è un microcosmo. Se l'imperatore russo acquistasse la bohème per una ventina di milioni e poi la deportasse a Odessa, in un anno Odessa diventerebbe Parigi". S'intuisce, dietro quest'affermazione, il risentimento del romanziere indebitato che ha visto fallire i propri tentativi di carriera politica, in un mondo in cui trionfa la mediocrità. Tuttavia il "principe della bohème", La Palférine, cui è intitolato questo racconto, non è un autoritratto. Discendente impoverito di un'antica famiglia dell'aristocrazia italiana, arrivata in Francia nel Cinquecento, incarna l'aggressiva inutilità del dandy, fiero del proprio statuto marginale in una società che disprezza. Erede dello spirito caustico di Rivarol, non può che esercitare sulle donne un fascino irresistibile. Non è dunque strano che s'innamori perdutamente di lui la ballerina Tullia, sposata a un indolente e mediocre autore di vaudevilles. Quel che è più singolare, è la violenza della passione della donna e la sua ingegnosità nel soddisfare tutte le richieste del suo idolo. Tullia, che La Palférine ha ribattezzato Claudine, per accontentarlo dispiega energie insospettate; riuscirà addirittura, per soddisfare il suo desiderio di avere un'amante ricevuta negli ambienti più raffinati, a fare del proprio inetto marito un Pari di Francia. Si fronteggiano dunque, nel racconto, il talento inutilizzato di La Palférine e il genio insospettato di Claudine, con il cui nome Colette battezzerà l'eroina ribelle e capricciosa dei suoi primi romanzi. Mariolina Bertini
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