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Nel settembre del 1599 un frate domenicano confinato dai superiori nella nativa Calabria venne tratto in arresto dalle autorità militari. Era accusato di essere il capo spirituale di una congiura contro il governo spagnolo, di preparare un’insurrezione, un regime popolare, l’alleanza con i Turchi, di propagare inaudite eresie. Il frate era Tommaso Campanella, e aveva appena compiuto il tretunesimo anno; tradotto a Napoli in catene, avrebbe subito atroci torture e ventoto anni di reclusione spesso durissima, sopportati con inflessibile tempra. In condizioni disumane, superando ogni stento e umiliazione, egli impiegherà quella segregazione dal mondo per comporre opere filosofiche di vigoria novatrice, scritti politici di appassionata attualità, poesie intense e vibranti, stupende lettere indirizzate ai dotti e ai potenti della terra. Dell’esperienza drammatica del carcere ci restano documenti suoi di prima mano, dalla deposizione rilasciata subito dopo l’arresto alle difese composte con sottigliezza dialiettica e smisurata dottrina, fino al racconto, ormai disteso e attenuato, che ebbe a redigere dopo vent’anni di reclusione. E ci restano altresì i verbali degli interrogatori e degli atroci supplizi, nei quali si esalta il contrasto fra il gelido legalismo dei giudici e un’invitta resistenza morale, che non si piega neppure sotto la tortura «enorme» inflitta per quaranta ore consecutive. Quella che qui integralmente si pubblica – criticamente accertata, annotata, tradotta – è una testimonianza eloquente e definitiva, resa soprattutto a se stesso, della dignità dell’uomo e della sua non rinunciabile libertà.
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