Il senso della realtà è un concetto provvisorio e volatile, malsicuro, come molti altri prodotti da laboratorio. Una zia nata prima della seconda guerra mondiale ha un senso della realtà attecchito culturalmente fra la ricostruzione e il miracolo economico e quindi collocabile più o meno alla fine degli anni cinquanta, ma che può funzionare al massimo fino al 1970, perché da lì in poi c'è bisogno di un senso della realtà più fresco, aggiornato poniamo alle teorie monetaristiche postkeynesiane, alla crisi del centrosinistra, a tangentopoli, per fare degli esempi. Ugo Cornia, nato nel 1965 e con un senso della realtà situabile intorno al 1995, all'inizio del 2001 trova sul conto corrente dei soldi "suoi suoi", non ereditati ma guadagnati con i libri che ha scritto, che gli permetterebbero di vivere, senza lavorare, diciamo per sei mesi. Decide così di licenziarsi dal lavoro di insegnante precario, grazie al quale potrebbe vivere, però lavorando, per un periodo lungo magari il doppio, o anche di più, o anche per sempre, se l'ingranaggio delle cosiddette supplenze e delle cosiddette nomine continua a girare per il suo verso. L'idea, nel senso di decisione consapevole e perentoria, arriva precisamente il 24 di gennaio, nei postumi di una curva presa male in macchina, fra Modena e Finale Emilia, cioè tra la casa e la scuola, per fortuna senza conseguenze a parte lo spavento. Per un uomo con un senso della realtà ancora in pieno svolgimento e quindi con scadenza incerta e forse utopicamente proiettata, la parte più difficile è spiegare i fatti a una zia nata nel 1927 che vive seduta in diagonale su un divano con telecomando e medicine pleonastiche, e un senso della realtà situabile nel '53, e alla segreteria della scuola, il cui senso della realtà è assestato sui canoni sindacalistici tardonovecentisti della conservazione del posto di lavoro, e infine a un preside onestamente impreparato sui procedimenti burocratici di dimissioni volontarie, perché non ci sono precedenti. Le storie di Cornia viaggiano sempre su delle strade di andata e ritorno, piene di curve a gomito dopo rettilinei morbidi, dentro un mondo senza coordinate cartesiane né riduzioni fenomenologiche: cioè in sostanza l'unico mondo possibile. E proprio nel viaggio di ritorno lungo la Panaria bassa, mentre la felicità del licenziarsi si gratifica a maledire i posti di un tragitto che non si dovrà più fare, il panorama cambia gradualmente colore e, dopo l'investimento accidentale di un cane, si affaccia anche l'idea che la fuga già fatta potrebbe anche non essere così liberatoria. È un viaggio lungo, quello del ritorno, dove le morose a volte spariscono, e tra un bancomat e l'altro il capitale dei soldi si consuma e potrebbe azzerarsi: e lo spettro dell'azzeramento del capitale dei soldi, più ancora della perdita della morosa, intossica qualunque senso della realtà, di qualunque generazione ed epoca storica. Il precariato ha però dei meccanismi autoconservativi che nessuno, forse neanche Ugo Cornia, sospetta, e una mattina di metà settembre arriva la telefonata con una nuova offerta di supplenza (quella che non sembrava possibile perché l'effetto più elementare del licenziarsi è il depennamento dalle graduatorie, ma nel mondo reale le cose vanno spesso alla rovescia), in una scuola che è non solo nello stesso paese di quella precedente, ma addirittura nello stesso edificio. Ed così che otto mesi dopo Ugo salta in macchina e corre al Professionale, contentissimo di fare la stessa via Panaria bassa, con le stesse curve, le stesse case, gli stessi panorami. E con lui è contenta la zia del 1927, seduta in diagonale sul divano a cambiar i canali. Nella letteratura sulla scuola e sul precariato, il libro di Cornia potrebbe definirsi antisindacale, il primo e forse l'unico. Ma non c'è nessun calcolo. In un mondo che somiglia a un circo, dove i cerchi si chiudono da soli, a condizione che non li si voglia chiudere per forza, è molto difficile parlare di diritti, e soprattutto di libertà, che forse è sinonimo di scappare. "Uno la sua libertà può volersela iniziare in tanti modi, ma dipende da che cosa il mondo ti mette davanti", e ci son delle cose "che un bel momento ti saltano davanti alla faccia, senza che tu te le aspetti e anche senza che tu te le veda fino a un microsecondo prima. Poi sbam". Paolo Colagrande
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