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Ecco un vecchio testo del più famoso studioso di islam in Europa. L'edizione originale del libro di Gilles Kepel è infatti del 1984, un anno che potremmo definire non sospetto. Dopo l'11 settembre gli studi di questo genere sono diventati moltissimi e orientarsi non è impresa facile. Contro i giudizi di valore pronunciati da ogni dove sull'islam politico, il testo cerca di tornare alla radice dei fatti e dei comportamenti umani dei militanti di un gruppo islamico tra i più conosciuti nel mondo. L'analisi di un movimento islamico come i Fratelli musulmani in Egitto è infatti per l'autore un paradigma del mancato successo del loro progetto politico. Questo movimento islamista, partendo dal basso, si è lentamente insinuato nella società, arrivando a eliminare il principe perverso, l'empio, il corrotto: Anwar Sadat, che firmò con Israele il primo importante trattato di pace nella regione, ottenendo in cambio il Sinai perso con la guerra del 1967. Gli islamisti di tutto il mondo guardarono al modello egiziano, ma non riuscirono mai a conquistare il potere. Questo vale per il mondo islamico sunnita, dove un gruppo di rivoluzionari religiosi non è mai riuscito a impadronirsi dello stato come è accaduto nell'Iran sciita. L'insieme di cause e di pezzi di società che hanno favorito la salita al potere dell'ayatollah Khomeini sono difficilmente ripetibili e per ora il nostro autore sembra aver ragione. Gli unici casi in cui gli islamisti sono giunti al potere in modo effimero sono a seguito di golpe militari (Sudan '89), interventi stranieri (Afghanistan '96), o cooptazione da parte dell'esercito e del potere locale (Pakistan, Giordania e Turchia). Ciò che incuriosisce oggi è leggere di leader egiziani che negli anni ottanta muovevano i primi passi, e che oggi sono i principali punti di riferimento per l'islamismo globale, come al-Zawahiri.
Paolo Di Motoli
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