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Prova e verità nel diritto
È lecito ammettere che accanto a un concetto di verità materiale possa coesisterne uno, differente, ma parallelo, di verità formale? Il processo civile può dirsi appagato dal raggiungimento di un qualcosa che è vero in quanto si è disposti a considerarlo come tale, o deve esigere la ricerca di ciò che è vero in quanto tale? È socialmente utile accettare che il sistema di attuazione della giustizia civile possa limitarsi in alcuni casi ad accertare una verità che è tale per convenzione e non per essenza? Il testo affronta, in termini del tutto accessibili al lettore poco avvezzo alle espressioni del diritto, il tema della prova giudiziale, con particolare riferimento a quella civile, la cui rilevanza non è confinabile all'interno della problematica strettamente processuale, ma si estende a quella della realizzazione della giustizia nel suo complesso. Alla base della riflessione c'è l'analisi del problema del conoscere, dei filtri conoscitivi che inevitabilmente si frappongono sul percorso di ogni attività umana volta alla cognizione di una realtà fenomenica. La tesi che l'opera si prefigge di dimostrare è che il concetto di verità formale non ha dignità di esistere accanto a quello di verità materiale quale fine del processo, e che l'analisi delle regole che disciplinano il fenomeno probatorio non può essere condotta sul piano della ricerca meramente processualistica, bensì deve essere estesa per considerare anche le implicazioni teoriche del problema. L'autore è regista di un confronto tra gli aspetti giuridici e quelli teorico-epistemologici della prova, al cui esito si è indotti a discutere criticamente il collegamento fra prova, regole processuali e verità e comprendere che quello dell'accertamento giudiziale dei fatti è uno dei nodi fondamentali del sistema attraverso cui l'ordinamento persegue l'attuazione della giustizia.
Elisabetta Miraglio
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