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Il saggio di Luigi Benevelli, medico psichiatra, pubblicista, vicepresidente dell'Istituto di storia contemporanea di Mantova, affronta i molteplici aspetti della psichiatria coloniale, compresi gli obiettivi e l'organizzazione dell'assistenza sanitaria nelle colonie. In particolare, sono indagati i rapporti dei medici italiani con il mondo coloniale e con le "scuole" di psichiatria europee. Il lavoro è particolarmente interessante perché affronta il dibattito sulla "razza" in prospettiva psichiatrica lasciando intravedere le connessioni dei progetti coloniali con l'elaborazione di tesi sull'inferiorità del colonizzato. In tal senso è tra i primi testi sull'argomento. Il volume, un testo agile e ricco di riferimenti bibliografici, è diviso in quattro parti. Inizia con un inquadramento generale della ricerca che fornisce al lettore interessanti informazioni sui tratti della psichiatria italiana tra le due guerre e sugli psichiatri del fascismo. Sono affrontati i temi del pregiudizio razzista nei confronti delle popolazioni africane, del meticciato, della sanità italiana in Africa e della medicina tradizionale nelle colonie. Di particolare interesse è la parte terza, dedicata alle psichiatrie nelle colonie britanniche dell'Africa dell'est, in quelle francesi dell'Africa occidentale, alla Scuola di Algeri e alla grande influenza che essa esercitò su alcuni medici italiani. L'ultimo capitolo di questa sezione ricostruisce cronologicamente, a partire dal 1904, i passaggi fondamentali convegni, testi scientifici, pubblicistica e casi clinici che delineano la nascita di una prassi clinica italiana. Il primo luglio del 1939 fu inaugurato a Tripoli il primo manicomio coloniale italiano diretto da Angelo Bravi. L'ultima parte del libro segue le vicende dello psichiatra italiano.
Gabriele Proglio
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