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Per valutare l’incidenza di una figura come quella di Franz Brentano, filosofo e psicologo di lingua tedesca nato nel 1838 a Marienberg am Rhein e morto a Zurigo nel 1917, basta annoverare la serie dei grandi pensatori che ne hanno subito l’influenza. Ricordiamo, per citare solo i principali, Edmund Husserl, che ne eredita alcuni concetti fondamentali per la costituzione della fenomenologia; Alexius Meinong, da cui ha origine la Scuola di Graz per la psicologia sperimentale e la teoria dell’oggetto; Christian von Ehrenfels, che introduce in psicologia la nozione di Gestalt; Kazimierz Twardowski, da cui scaturisce la scuola di logica polacca; Anton Marty, che elabora la dottrina brentaniana in funzione di una teoria del linguaggio. Lo stesso Freud frequentò alcune delle sue lezioni, e Martin Heidegger – pur non essendo stato fra i suoi allievi diretti – riconosce in tutta la prima fase del suo pensiero il debito verso la lettura aristotelica di Brentano, in particolare sul tema dei «molteplici significati dell’essere».
Proprio in questo volume – fra quelli espressamente dedicati dall’autore al pensiero di Aristotele – troviamo forse l’esempio più significativo del metodo e dell’elaborazione dottrinaria che ne legittimano la così grande influenza. Nel tentativo di sottrarre il testo del De anima a un mero interesse storico-erudito, Brentano mira qui a cogliere le direttive teoretiche che ne fanno non solo il primo trattato di psicologia generale su base scientifica, ma ancor più un saggio di prospettiva psico-biologica, nel quale è facile individuare alcuni degli aspetti cruciali – come quello del rapporto mente/corpo – tuttora al centro di un rinnovato dialogo tra scienza e filosofia. Dall’impianto formale di tale psicologia egli giunge a elaborare i lineamenti di una teoria del riferimento intenzionale che costituirà il fondamento della sua psicologia descrittiva, orientando gli sviluppi della stessa fenomenologia husserliana.
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