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E' l'opera piu raffinata di Vargas Llosa. In bilico tra l'estetismo erotico e e una sensualità barocca e fantasiosa fa innamorare dell'arte di Schiele , turba con l'angelica e amorale figura di Fonchito, appassiona con la bellezza di donna Lucrecia. A volte annoia , prolisso e minuzioso, ma in ogni istante è un racconto elegante.
Per comprendere e penetrare coscientemente in questo mirabile romanzo bisogna aver letto l'Elogio della Matrigna dello stesso autore, arte pura, come adempimento di una profezia tra le pagine di un memorabile sofisma intellettuale. Arte pura come l'acqua cristallina nello sguardo trasparente di Fonchito, il piccolo cervellotico protagonista imberbe ma già matricolato esperto di vita e paradosso della purezza apparentemente incontaminata dai desideri ineffabili ed inarrivabili del padre, fervente cultore della vita e del piacere. Un capolavoro unico, originale nella complessità dello stile simbolico e introspettivo, una mirabolante dimostrazione di eleganza e di stile, cornice dorata di un amore incorruttibile e di elementi figurativi da artista incompreso: Egon Schiele, ambiguità , provocazione ed erotismo.
Recensioni
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recensione di Morino, A., L'Indice 1997, n.11
Lo scrittore peruviano Mario Vargas Llosa non è precisamente un estimatore della letteratura erotica. Noiosa, ripetitiva, cerebrale e, oramai, conformista, questi alcuni dei difetti che le imputa. Da questa gragnola di critiche salva, almeno in parte, la grande tradizione dei libertini settecenteschi sia per la raffinatezza stilistica e culturale con cui scrittori quali Sade o Diderot elusero la volgarità che intristirebbe le moderne espressioni erotiche, sia perché trascesero il mero erotismo utilizzandolo per contrabbandare audaci teorie sulla libertà umana.
Ed è a questa tradizione che Vargas Llosa evidentemente si richiama per compiere una nuova incursione nei difficili territori dell'erotismo dopo l'"Elogio della matrigna" (Rizzoli), il romanzo con cui nel 1988 sorprese i suoi lettori e che, con sguardo retrospettivo, può considerarsi una sorta di prologo a "I quaderni di don Rigoberto", opera di maggiore spessore.
Nei "Quaderni" ritornano i protagonisti dell'"Elogio della matrigna" in una storia che ha inizio sei mesi dopo che doña Lucrecia - la sensuale matrigna del primo titolo - è stata cacciata di casa dal marito don Rigoberto, grazie alle manovre del figliastro Fonchito, luciferino cupido di angeliche fattezze che, dopo aver sedotto l'ingenua matrigna, aveva rivelato tutto al padre distruggendone il matrimonio.
Il nuovo racconto si apre proprio con la decisione del bambino di porre rimedio al male commesso adoperandosi per riconciliare la coppia, obiettivo che raggiungerà ricorrendo a una serie di lettere anonime e organizzando misteriosi incontri ad alto tasso erotico.
Malgrado Fonchito rappresenti ancora una volta il motore della trama, la narrazione non indugia sulla sua figura di adolescente enigmatico e un po' folle, ossessionato com'è dalla persona e dall'opera del pittore austriaco Egon Schiele. L'interesse del romanzo è, invece, concentrato sulla doppia personalità di don Rigoberto, in apparenza incolore funzionario di una compagnia di assicurazioni con un'esistenza formale e mediocre, in realtà insonne sognatore di fervida immaginazione e grande cultura che, nel segreto del suo studio, coltiva una vita avventurosa e di intensa attività erotica che lo compensa delle miserie e dei limiti della sua esistenza impiegatizia.
Don Rigoberto riversa la sua vita clandestina nei quaderni che danno il titolo all'opera e le cui pagine si alternano alle sequenze dedicate ai dialoghi fra doña Lucrecia e Fonchito, cui è affidato il progredire dell'azione narrativa, e alla trascrizione delle lettere anonime che il ragazzino fa circolare fra gli sposi separati. I quaderni di questo maturo assicuratore raccolgono di tutto, riflessioni, memorie, classificazioni estetiche e, soprattutto, fantasie sessuali e sfoghi polemici contro il mondo contemporaneo. In questi scritti sono da ricercarsi i veri temi del romanzo che va ben oltre la storia sentimentale-erotica di una strana famiglia dell'alta borghesia peruviana.
Il tema centrale è uno dei più ricorrenti nell'ultimo Vargas Llosa romanziere e critico: il ruolo della finzione artistica oggi. Sono lontani gli anni in cui lo scrittore attribuiva all'arte una funzione contestatrice e demistificatoria che poteva contribuire a migliorare l'esistente collettivo. Con la storia della vita-rifugio di don Rigoberto - che trae alimento dalle opere letterarie, plastiche e musicali di cui l'assicuratore si circonda - Vargas Llosa sembra, al contrario, suggerire che l'universo della finzione è il migliore antidoto alle imperfezioni di un mondo che non può essere radicalmente cambiato senza attentare all'individuo e alla sua libertà.
Ed ecco gli altri due nuclei tematici rilevanti del romanzo che canta l'erotismo, prima e innanzitutto, come spazio di massima espressione dell'individualità dei singoli nella più piena libertà. Il protagonista, come il suo creatore, appare tormentato dalla disindividualizzazione che vede avanzare intorno a sé. In lettere destinate a non essere spedite, inveisce "contro ogni movimento che si proponga di oltrepassare (o di relegare a un piano secondario) la lotta per la sovranità individuale, anteponendole gli interessi di un collettivo - classe, razza, genere, nazione, sesso, etnia, vizio o professione", perché in tutti ravvisa "una congiura per imbrigliare ulteriormente la maltrattata libertà umana. Quella libertà raggiunge il suo senso pieno soltanto nella sfera dell'individuo, patria calorosa e indivisibile".
Nei "Quaderni" ci sono, dunque, tutti gli ingredienti della letteratura libertina, i sofisticati rimandi culturali, la sapiente elaborazione formale, la cura stilistica, le preoccupazioni che trascendono l'elogio dell'eros e, ancora, dosi più consistenti di fisicità rispetto all'opera precedente. Eppure il romanzo non riesce a evitare gli scogli del genere erotico rilevati dallo stesso Vargas Llosa. Forse perché mancano alcuni ingredienti della grande narrativa dello scrittore e principalmente il potere di persuasione, la capacità di immettere il lettore nel gioco della narrazione sin dalla prima pagina e fargli vivere la verità dell'illusione fino alla fine. È troppo ingombrante la sagoma del Vargas Llosa saggista e giornalista impegnato a raccogliere le "sfide alla libertà" (così recita il titolo della sua ultima raccolta di articoli pubblicata in Spagna nel 1994) che traspare dietro l'esile trama narrativa. O forse il romanzo soffre di una certa prevedibilità dovuta a una disposizione strutturale e argomentale che, con scarse varianti formali, tende a ripetersi lungo i nove capitoli che lo compongono. Rimane la sorpresa dell'epilogo ma non è sufficiente a far sì che il piacere della lettura eguagli l'evidente piacere della scrittura di Vargas Llosa.
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