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Anno edizione: 2015
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L'ho ricevuto come regalo di compleanno davvero molto gradito. Pur essendo una grande appassionata di manga e cultura giapponese non ne avevo mai sentito parlare. E' un libro difficile da definire, un po' diario, un po' guida, un po' libro di storia. Meravigliose le immagini del Giappone antico, ricordiamoci che non si parla solo di metropoli ultramoderne, ma di un paese con cultura millenaria! Lo consiglio a chi vuole scoprire e fantasticare.
E' un libro diverso da solito, può ricrdare un fumetto per la tipologia delle immagini, ma è un libro a tutti gli effetti e che ha in se un po di tutto, dalla cultura alle esperiene. Lo consiglio a chi come me ama il Giappone.
Ho ritrovato in questo bellissimo volume tanti riferimenti alla cultura giapponese che nei decenni avevo man mano incontrato ma a volte non dando troppo peso al contesto e a volte passando lo sguardo con troppa superficialità. Questi quaderni sono davvero densi, intensi, variegati ma contestuali... un fumetto che non è un fumetto, o meglio sotto la veste del disegno ci sono un reportage, un esperienza di vita, una filosofia, la storia di un paese, una cultura nel senso più ampio. Etica professionale, senso estetico, gusto erotico, magia e mistero, il tutto dentro a questo interminabile manuale che presenta grandi singolarità: Mishima, Hokusai, Takahata, Miazaki, le geishe i lottatori di sumo e chi più ne ha più ne metta.
Recensioni
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E SE MI SOFFIO IL NASO?
Con Igort nel 'paradiso dei disegnatori'
I Quaderni giapponesi arrivano dopo i reportage da Russia e Ucraina con cui Igort ha inaugurato una personale trilogia a cavallo tra storia e memoria, e di questo trittico la trasferta nipponica è senza dubbio l'episodio più personale, se non altro per il ruolo che il paese asiatico ha esercitato non solo sulla carriera, ma sull'immaginario stesso del fumettista sardo. O meglio: Igort appartiene a quella generazione che forse per prima subì il fascino (anche) pop del Sol Levante, e non credo di sbagliare se dico che c'è un filo rosso che lega la Traumfabrik in cui i Gaznevada obbligavano Filippo Scòzzari a interminabili dispute sui migliori B-movies made in Japan, e lo stesso Igort che a inizi anni '80 si mette a lavoro su Goodbye Baobab, il suo primo graphic novel (“ma allora ancora non si chiamavano così”, puntualizza l'autore: bei tempi...) che si apriva con un capitolo dall'esplicito titolo di Il mio cuore a Nagasaki.
Goodbye Baobab fa capolino anche tra gli ondivaghi ricordi che affollano Quaderni giapponesi, e anzi Igort stesso lo pone a principio di una fascinazione che solo nel 1991 si concretizzerà nel viaggio che lo porterà a Tokyo per collaborare col colosso editoriale Kodansha. Ma già in quel primo contatto con una terra da così tanto tempo anelata, a prendere il sopravvento sono i segni indecifrabili di un paese talmente alieno da trasformare in imprese eroiche persino gesti semplici come prendere l'autobus, senza parlare dell'angosciante dilemma “si può soffiare il naso in pubblico o no?”. Da lì, prende piede una narrazione rigorosamente non lineare che è anche un piccolo saggio sui nomi, le influenze, le suggestioni che col tempo porteranno Igort a suggerire di essere stato egli stesso giapponese, sebbene in una vita precedente.
Qualche tempo fa è uscito un altro volume a cui, leggendo Quaderni giapponesi, non ho potuto fare a meno di ritornare: sto parlando del bellissimo Viaggio a Tokyo di Vincenzo Filosa, recensito su queste pagine giusto un paio di mesi fa. È interessante mettere a confronto i due lavori, tanto sentimentalmente vicini quanto diversi nei risultati; anche per Filosa il Giappone è una terra sulle prime incomprensibile, la cui scoperta si traduce nel più classico dei viaggi di iniziazione. Ma se Filosa reagisce allo shock dell'impatto abbuffandosi di psicofarmaci, Igort abbraccia gli alberi e si dà alla meditazione seguendo gli insegnamenti di un antico medico samurai. Il Viaggio a Tokyo di Filosa è un'epopea strampalata fitta di incontri improbabili e situazioni ansiogene; i Quaderni giapponesi sono al contrario pervasi da una sottile, agrodolce nostalgia anche quando, al diario intimo, si sostituisce l'excursus storico-culturale. Quella di Filosa è sotanzialmente la storia del fallimento di un individuo lasciato a se stesso in una terra ostile; quella di Igort, la descrizione di una lenta anche se incompleta scoperta che infine, perché no, può diventare rivelazione; infine, in Viaggio a Tokyo lo stile grafico di Filosa fa pensare una specie di Osamu Tezuka catapultato negli inferi dell'underground; i Quaderni giapponesi di Igort invece, sono un'abbacinante sequenza di tavole che sembrano incise su fogli di carta di riso, dal tratto tenue eppure rigoglioso, e che qui e là si tingono di quella “patina avorio” che Igort stesso intravede nelle vecchie tavole di Suiho Tagawa, uno dei tanti nomi omaggiati nel volume. Poi certo, in entrambi i volumi compare Yoshiharu Tsuge, il maestro del gekiga: e be', fa un effetto curioso ritrovare il nome di un autore tanto sconosciuto in Italia, sulle pagine di due opere distinte e uscite a pochi mesi di distanza l'una dall'altra.
Ma a legare questi due autori tanto lontani (anche dal punto di vista generazionale), è innanzitutto la domanda che Igort in persona si pone a inizio volume: “Cosa cercavo?”. La risposta la fornisce Igort subito dopo: “il paradiso dei disegnatori”. Quaderni giapponesi in effetti, è un impressionante atto d'amore nei confronti di una cultura visiva che lega assieme Hokusai e riviste d'avanguardia come Garo, stampe che paiono “ricalcare forme invisibili ai comuni mortali” e la grande, tentacolare industria del manga coi suoi ritmi spietati e disumani (ritmi che Igort sarà costretto a subire quando verrà sottoposto al rituale “trattamento” di casa Kodansha). E sì, in Quaderni giapponesi trovate anche Mishima, Abe Sada, i film Yakuza, i crisantemi, il sumo, la cerimonia del tè... Trovate insomma il Giappone, o se non altro una versione del Giappone che è al tempo stesso documentario a fumetti, miraggio onirico e reportage incantato.
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