Quando l'aria aveva paura di Nureyev

Immagino che se l’aria avesse paura di Nureyev, se ne starebbe in disparte, comunque innamorata, ad ammirare da lontano le evoluzioni del famoso ballerino. Conserverebbe lo sguardo discreto ma attento del poeta che vola sulle rare bellezze del mondo, accarezzandole dal cielo con il cuore. Se il vero sentimento avesse una voce, non potrebbe essere altro che un sussurro, un alito leggero e a fior di labbra, eppure in grado di distinguersi dal caotico rumore di fondo. Versi come quelli di questa raccolta, scritti con la punta di una penna che cerca la penombra per potervi incidere gli arabeschi di emozionate intuizioni, sbocciano negli angoli più intimi della quotidianità dell’autore: prendono la forma di fiori dai colori delicati, petali intinti nelle sfumature evanescenti dei suoi sogni e ricordi più dolorosi, più gioiosi, più meravigliosamente indefiniti. Leggere le composizioni di Piergiorgio Viti è come partecipare al paziente lavoro con cui le sue mani invisibili tessono artistici veli ricamati da appendere alle finestre affacciate sulla realtà: sbirciando fuori, attraverso quelle tende, l’essere del tu, del noi, del loro, tutto diventa una presenza di nuvola, i cui fantasiosi contorni disegnano l’inizio di una favola. Il seguito si nasconde, e adorabilmente si perde, in un fluttuante gioco di trasparenze. Tocca a noi andarlo a cercare, continuando a lasciarci sfiorare dal vento che soffia in mezzo a tante semplici e incantate parole. Parole rarefatte, volutamente distanti, per lasciare che quel vento passi, trasportando il loro senso lontano dai soliti discorsi che parlano di cose normali, senza averle minimamente comprese. Senza averne saputo cogliere l’anima magica, immortale perché eternamente sfuggente.