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Quando eravamo prede
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Quando eravamo prede - Carlo D'Amicis - copertina
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Quando eravamo prede

Descrizione


Prendete una distesa di boschi incontaminati che sembra il paradiso terrestre. Tracciate una linea sottile che la divida dal nostro mondo. Popolatela infine con una strana stirpe di cacciatori che si veste con le pelli delle prede e utilizza disinvolta i loro nomi: Alce, Agnello, Toro, Ghepardo, Leone, e poi Cagna, Farfalla, Zebra... Esseri umani bestiali o bestie umane? Di sicuro gli abitanti del Cerchio pretendono di vivere immersi nella natura: anzi, di essere essi stessi la natura. Ma che succede se, da un giorno all'altro, tutti gli animali del bosco scompaiono? Se i cacciatori si scoprono improvvisamente affamati, impotenti, malati? Se una scheggia impazzita di civiltà cade tra gli alberi della foresta e li porta a scoprire la religione, il linguaggio, la proprietà privata? Spinti tra le braccia di sentimenti più pericolosi dei loro fucili, come l'amore, la compassione e la paura, ecco che i cacciatori si trasformano in prede. Tra preistoria e fine della modernità, "Quando eravamo prede" sembra riassumere in una sola vicenda l'intera avventura umana e il nostro rapporto con la natura, come se "La fattoria degli animali" rivivesse ne "La strada di Cormac McCarthy".
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Dettagli

2014
12 giugno 2014
187 p., Brossura
9788875215866

Valutazioni e recensioni

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Martin
Recensioni: 5/5

Bello e inquietante

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luca bidoli
Recensioni: 2/5

Forse le ottime recensioni precedenti, forse il richiamo editoriale, un po' inadeguato, a mio modesto avviso, a opere di Cormac McCarthy e altri classici, forse perché mi aspettavo altro, ma questo libro non mi ha coinvolto più di tanto. Eppure è scritto bene, la qualità della scrittura è, secondo me, buona. Manca la storia, il pathos in queste pagine, molto prevedibili e, quando, dopo un po', si comprende sin troppo bene dove andrà a parare l'autore, l'interessa scema, cala. Prevedibile, scontato. Non mi ha lasciato granchè, se non la curiosità di capire dove questi "esseri", uomini o animali, forse "moderni" centauri, si potessero rifornire così copiosamente di birra e di pick-up. Non ho fatto neppure, e qui recito il mea culpa, lo sforzo di capire troppo, perché, secondo me, in questa allegoria di una condizione esistenziale estrema, racchiusa in mondi circonscritti, siano essi il branco o il bosco, con una gerarchizzazione rigorosa, non c'era poi neppure tanto da capire. Forse da vivere, ma a questo non ci sono arrivato. Oibò.

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francesco v
Recensioni: 4/5

libro anomalo per la produzione italiana ( di ambientazione davvero mc-carthyana) e anomalo per il taglio cui ci aveva abituato d'amicis. Esperimento riuscitissimo, ormai un autore che e' una garanzia

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Voce della critica

  "In principio erano gli animali, e i cacciatori vivevano della loro morte". Così inizia Quando eravamo prede di Carlo D'Amicis, apologo in cui un tempo e uno spazio indefiniti fanno da cornice alle vicende della comunità dei Cacciatori e ai destini incerti della loro natura. Cacciatori e prede vivono nel bosco, chiamato Cerchio, oltre i cui confini (la Linea) nessuno si è mai spinto ed entro il quale la loro vita pare regolata da un ordine naturale e necessario. Loro unica autorità è la natura e le sue insondabili leggi, "nemmeno uccidere, in quelle leggi, richiedeva un dubbio, un approfondimento: le leggi della natura non avevano un perché". I cacciatori non hanno nome, ma prendono quello dell'animale a cui meglio rispondono per indole o fisionomia: Alce, Toro, Leone, Bisonte i principali, e poi naturalmente Agnello, l'io narrante, figlio di Alce ma come tutti i giovani nato dal seme di Toro, a cui i cacciatori, incapaci di procreare, affidano il compito della preservazione della specie. Le donne quasi non compaiono, sono tenute "nei pascoli più alti assieme agli animali, nutrendole a latte e mandando ogni tanto il Toro a trovarle". Il solo personaggio femminile a vivere nella comunità è Cagna, madre di Agnello ("Mia madre si chiamava Cagna. Benché ci giocherellasse come una collana, intorno al collo indossava una catena"), perché la natura non è madre, ma terreno di caccia. Agnello ha dieci anni, come gli altri ragazzini (tanto è il tempo da cui Toro non riesce ad adempiere al suo ruolo), e così la sua sessualità finisce per estrinsecarsi esclusivamente nella forma di un morboso rapporto di dominio e sottomissione con Alce e Cagna. L'età di Agnello è un'età rituale: è ancora istintivo e distaccato dai condizionamenti e dalle corruzioni del mondo adulto, eppure ha brama di uccidere e di diventare, com'è naturale, un cacciatore. La sua indole è tuttavia ancora incerta, ed è ricca la sua curiosità verso il mondo che lo circonda. A sconvolgere definitivamente la vita della comunità è l'arrivo di Scimmia. "Scimmie era il nome con cui identificavamo quelli che vivevano oltre il nostro orizzonte: al di là della Linea". Scimmia è una donna, proviene dal mondo civilizzato e arriva nel Cerchio portando con sé una Bibbia. Dal momento in cui viene accolta nella casa di Agnello, l'ordine degli eventi subisce una brusca quanto funesta accelerazione. In una notte gli animali, le prede, scompaiono dal Cerchio. Al loro posto arrivano orde di mostruosi topi con "sei zampe e un solo occhio al centro della fronte", racconta Agnello, che a frotte "si camminavano addosso. Si concentravano alla base del mio terrore. Si scavalcavano ansiosi di balzare sulla preda". È una deflagrazione: nel volgere di un attimo lo sgomento e l'orrore pervadono il Cerchio. I cacciatori diventano prede. Nella comunità esplode un conflitto fratricida, si scopre la fame, l'odio, il rancore, l'esclusione. La loro stessa natura diviene via via sempre più ambigua e indecifrabile, e la contaminazione tra l'aspetto umano e quello animale sempre più imprevedibile. Quando eravamo prede svela un percorso nuovo all'interno della scrittura di D'Amicis, che abbandona il realismo nel quale si era mosso in precedenza e volge verso la sperimentazione di nuovi linguaggi. D'Amicis lavora sull'immaginario distopico, ma lo fa adoperando sapientemente i tòpoi della tradizione, trovando soprattutto una sua forma essenziale ed evocativa nel tradurre i versi del linguaggio animalesco dei suoi personaggi, la cui vera natura è ignota, in una lingua piana e solenne. L'andatura del libro è inesorabile, e alla scansione degli eventi e dei capitoli corrispondono citazioni tratte dall'Antico Testamento (tranne quella che apre l'ultimo capitolo che, significativamente, viene dall'Apocalisse di Giovanni). La questione centrale che D'Amicis intende porre in risalto è quella della dialettica tra natura umana e natura animale, dove la componente umana è il dominio del razionale, del culturale, dell'istituzionale, mentre quella animale lo è del naturale, dell'immediato, è la componente in cui la religiosità è nelle cose e non al di fuori di esse, "perché noi eravamo ancora, allo stesso tempo, la civiltà e il creato". D'Amicis interroga queste due nature senza prendere una posizione etica definitiva nei termini civiltà-barbarie, quanto piuttosto lavorando sui confini, sulla Linea, che separa l'umano dall'animale e quindi il civile dal naturale. E quella stessa Linea posta ai confini del bosco genera forse la seconda conquista del libro: quell'orizzonte, che sarà meta da raggiungere nell'ultima fuga disperata dei personaggi, rimanda all'idea di una direzione della storia, una via obbligata verso l'evoluzione, una linea simbolica che si trova al di là di entrambe le nostre nature e che forse non è possibile, e nemmeno auspicabile, raggiungere. "Non arriveremo mai alla Linea: questo sì, lo sappiamo. 'E se la linea non esistesse?' (…) Se la Linea non esistesse, potremmo fermarci. E con noi fermare la smania, il dubbio, l'evoluzione".   Francesco Bratos  

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Conosci l'autore

Carlo D'Amicis

1964, Sava

Carlo D'Amicis vive e lavora a Roma. È autore del programma di Rai 3 "Quante Storie" e del programma di Radio 3 Rai "Farenheit". Ha pubblicato i romanzi Piccolo Venerdì (Transeuropa, 1996), Il ferroviere e il golden gol (Transeuropa, 1998, selezione Premio Strega), Ho visto un re (Limina, 1999, Premio Coni per la letteratura sportiva), Amor Tavor (Pequod, 2003). Per Minimum Fax ha pubblicato quattro romanzi: Escluso il cane (2006), La guerra dei cafoni (2008 - selezione Premio Strega), La battuta perfetta (2010), Quando eravamo prede (2014). Nel 2017 da La guerra dei cafoni è stato tratto l'omonimo film diretto da Davide Barletti e Lorenzo Conte. Nel 2018 ha pubblicato con Mondadori Il gioco.

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