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Cronaca di una rivoluzione silenziosa quella di Eugenio Perucatti, direttore negli anni cinquanta del famigerato ergastolo di S.Stefano di Ventotene.La storia viene raccontata dal figlio Antonio, che all'epoca dei fatti-anni 50-aveva solo 8 anni e viveva spensierato su questa suggestiva isola in mezzo ai più feroci criminali della terra, tutti con almeno un omicidio sulle spalle. Mancava tutto lassù, mentre i 250 ergastolani vegetavano in celle putride e anguste; a loro era concessa una sola ora d'aria ma in totale isolamento.Le idee del direttore erano in perfetta sintonia con l'art.27 della Costituzione che imponeva un trattamento umanitario e l'intento riabilitativo della pena.Quel fatiscente carcere borbonico necessitava di una radicale trasformazione in un penitenziario modello di autogoverno, dove gli attori primari sarebbero stati proprio loro, i detenuti,operai che finalmente uscivano dalle celle subito dopo l'alba e rientravano al tramonto,per offrire alla comunità civile dell'isola quei servizi moderni che erano del tutto mancati! Perucatti si rivelò subito un riformatore molto scomodo,in anticipo rispetto ai suoi tempi: difende la dignità degli ergastolani e riesce a coinvolgere tutto il personale carcerario per il raggiungimento dei suoi nobili fini, non mancando di condividere con i secondini il suo audace progetto. E' un cattolico fervente che crede in certi valori, la solidarietà e il reinserimento dei suoi carcerati.Si dichiara contrario alla pena dell'ergastolo, sostenuta invece dall'opinione prevalente, reazionaria e conservatrice.Concede il massimo della libertà possibile ai suoi 250 detenuti, consente di lavorare, di vedere i parenti, anticipa quel diritto all'amore che oggi è consentito nelle carceri più progredite d'Europa,invita sull'isola gente famosa,dai professori universitari, giornalisti, importanti calciatori e cantanti.Ha come principale alleato un uxoricida,Pasquale, che farà da baby sitter ad Antonio ultimo genito.L'emozione domina!
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